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Gli 8 scrittori americani capaci di segnare un lettore secondo la giornalista Livia Manera Sambuy

Raccontare storie di incontri e complicitร  con i โ€œsuoiโ€ scrittori americani, scoprendo al tempo stesso i segreti della letteratura americana. Eโ€™ questa lโ€™anima del libro โ€œNon scrivere di meโ€ della giornalista Livia Manera Sambuy...

MILANO – Raccontare storie di incontri e complicità con i “suoi” scrittori americani, scoprendo al tempo stesso  i segreti della letteratura americana. E’ questa l’anima del libro “Non scrivere di me” della giornalista Livia Manera Sambuy. Firma del Corriere della Sera e autrice di due documentari su Philip Roth, la giornalista in questo libro colleziona interessanti aneddoti legati agli incontri con scrittori del calibro di Philip Roth, Richard Ford, Paula Fox, Judith Thurman, David Foster Wallace, Joseph Mitchell, Mavis Gallant, James Purdy. Non è una raccolta di interviste ma un racconto narrato con protagonisti gli scrittori americani capaci di segnarla come persona e come lettrice.
 
Nella sua carriera di giornalista ha attraversato il meglio della letteratura angloamericana. In che modo ha scelto gli 8 autori protagonisti del libro?
E’ stata una scelta emotiva, quasi un modo di dire: questo non è un libro di interviste con scrittori, ma un romanzo biografico-autobiografico, una raccolta di incontri e di storie che mi hanno segnato come persona e come lettrice. Un modo di disegnare una costellazione del cuore che trova, sì, i suoi riscontri nella grande letteratura nord americana, ma non risponde alla logica della fama. Alcuni personaggi sono celeberrimi, naturalmente – penso a Philip Roth e a David Foster Wallace ma anche a Richard Ford; altri sono conosciuti soprattutto dai lettori forti’ (Paula Fox e Mavis Gallant); altri sono figure favolesche e irresistibili, tutte da scoprire, come Joseph Mitchell, o da riscoprire, come il quasi dimenticato James Purdy. Ognuno ci offre una chiave per penetrare una stanza segreta della letteratura americana. E a me, come autrice, ognuno ha offerto un modo per confrontare i suoi segreti con i miei, per rileggere la mia vita alla luce di ciò che mi hanno ‘passato’.
 
Può identificare con un aggettivo ciascuno degli autori citati nell’opera?
Mi chiede una cosa difficile. Ce ne vogliono due o tre.
Mavis Gallant: una geniale ribelle.
Judith Thurman: l’intellettuale newyorkese sofisticata per eccellenza.
David Foster Wallace: un genio straziante.
Joseph Mitchell: il reporter con il cuore in tasca.
Richard Ford: amabile, difficile, fedele.
Paula Fox: una saggezza capace di spaccare le pietre.
James Purdy: un fuorilegge della letteratura.
Philip Roth: la seduzione dell’intelletto unito all’eros.
 
Cosa possono scoprire i lettori in questo libro dei loro autori preferiti che ancora non conoscono?
Tutto. E non lo dico per presunzione. Ma perché in questi ritratti/racconti scopriranno delle persone vere. Tutti noi tendiamo a idealizzare gli scrittori, e quindi a guardarli da dietro un vetro, o dalle pagine dei loro libri. Qui il vetro non c’è. E la pagina scritta serve per illuminare degli esseri umani veri, al di là della loro immagine pubblica che scompare.
 
L’aneddoto più divertente curioso?
Quando Mitchell, dopo un’intera giornata passata insieme a parlare dei libri e della vita, ha scoperto che c’era un libro su cui non lo seguivo perché non lo avevo letto. Era il ritratto di Gogol scritto da Nabokov.
Alla fine di quell’intensissima giornata, mi ha abbracciato all’angolo di due strade gelide di New York, e tenendosi il cappello perché il vento non glielo strappasse via, mi ha detto: “Ora lei va in libreria. Si compra il libro su Gogol. Lo legge in aereo domani, sul volo per Milano. E quando torna a New York fra qualche mese mi telefona e ricominciamo la nostra conversazione da lì. Ma me lo deve promettere”. Come potevo dire di no?
 
Se avesse la macchina del tempo, quale grande personaggio della letteratura classica le piacerebbe intervistare?
Mi sarebbe piaciuto conoscere Tolstoij. Intervistarlo no. Frequentarlo, capirlo, entrare nel suo mondo. A Parigi, qualche mese fa, mi è successa una cosa strana. A un cocktail dove conoscevo poche persone mi si è avvicinata una signora anziana molto elegante. Si è presentata così: “Sono la contessa Tolstoij”, e ha cominciato a raccontare. Di suo marito che era nipote dello scrittore, delle riunioni dei nostalgici di Jasnaja Poljana che si ritrovano a Parigi. E per trenta, deliziosi, minuti, mi ha portato per mano in quel mondo, aprendo una di quelle porticine che nelle vecchie case rimangono nascoste nei muri, e che di solito nemmeno notiamo.
 
7 maggio 2015
 
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