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L’economista Giulio Sapelli, “Il MES non è la soluzione migliore per l’economia italiana”

L'esperto di economia, storico, accademico e dirigente d'azienda italiano, autore del libro "Pandemia e risurrezione", è intervenuto sulla ripartenza economica dopo il Coronavirus

La pandemia e la sua gestione sono il frutto amaro di una società e di un sistema di economia globalizzata come pure di un arretramento della politica, dello Stato e dello spirito pubblico. Il MES? Così rischiamo di fare la fine della Grecia. E’ questa l’opinione di Giulio Sapelli, esperto di economia, storico, accademico e dirigente d’azienda italiano, autore del libro “Pandemia e risurrezione“. Un libro che analizza la situazione attuale dovuta al Coronavirus ma che pone anche alcune utili riflessioni su come poter uscire da questa crisi. Secondo l’autore tale momento può rappresentare una rara occasione di trasformazione dell’economia, o meglio di Resurrezione, con il bene comune da mettere al centro. 

L’attuale sistema economico globale era attrezzato per affrontare questa pandemia?

No. Innanzi tutto, il mondo è in una deflazione secolare da circa 30 anni, soprattutto per quanto riguarda la politica economica europea. I prezzi ed il profitto capitalistico non si alzano. C’è una sorta di stagnazione endemica interrotta dalle crisi finanziarie del 2007 e del 2008, che esposero a rischio soprattutto le banche. Crisi che l’Europa ha risolto con la Banca Centrale. Questa pandemia ha creato una crisi esogena, non endogena all’economia, ovvero che investe sia l’offerta sia la domanda di capitale e di moneta. 

Le misure attuate a livello mondiale sono state adeguate alla situazione?

In parte. Gli unici Paesi che hanno adottato una reazione buona e immediata sono quelli anglosassoni. In primis gli Stati Uniti, i quali hanno emesso 2mila miliardi di dollari per sostenere le imprese, non soltanto i redditi delle famiglie. Allo stesso modo si sono comportate Inghilterra, Giappone, Australia e Canada. Naturalmente l’Europa per la sua economia non può adottare le stesse misure. Non avendo una Costituzione, il continente europeo è fondato su un sistema di trattati tra nazioni che difficilmente possono intraprendere un’azione economica comune.

Gli Stati del nord Europa e quelli scandinavi e baltici non vogliono adottare la mutualizzazione del debito pubblico. Eppure, il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea del 2012 prevede all’articolo 122 che in caso di crisi pandemiche si possano prendere provvedimenti eccezionali. E’ grave che nessuno a livello istituzionale abbia sollevato la questione.

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Per quanto riguarda l’Italia, cosa si è fatto?

E’ emblematico il caso Inps e la domanda per i famosi 600 euro. Se l’anno prima si è guadagnato  oltre 10mila euro, il finanziamento viene negato. Si è deciso di garantire i bilanci delle imprese in sofferenza attraverso la SACE, l’assicurazione nata per garantire l’attività delle industrie italiane all’estero. Non si capisce perché non sia stata affidata questa funzione alla Cassa di Deposito Prestiti per aiutare le piccole, medie e grandi imprese.

Quali sono i suoi consigli per affrontare al meglio la crisi economica?

Nel breve periodo bisogna fare ciò che hanno proposto l’ex ministro Giulio Tremonti e il Presidente Onorario di Intesa Sanpaolo Giovanni Bazoli. Occorre fare un prestito non forzoso, come quelli che abbiamo fatto nel 1945 e nel 1948, i cosiddetti “prestiti della liberazione”. Con l’immenso patrimonio di risparmio di debiti italiani si faccia un prestito nazionale con  bond non tassato. Basta che ogni famiglia acquisti questi titoli così da raccogliere 300-400 miliardi. Non sono convinto che il MES sia la soluzione migliore: così rischiamo di fare la fine della Grecia.

 

 

 

 

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