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Giommaria Monti, ”Ricordare Giovanni Falcone significa ricordare il nostro presente”

SPECIALE FALCONE - Non fermarsi mai alle apparenze. E’ questo il messaggio che lascia i neredità alle nuove generazioni Giovanni Falcone secondo il giornalista e autore televisivo Giommaria Monti...

Il giornalista e autore televisivo sottolinea i lati che restano ancora poco chiari in merito alle stragi del 1992

MILANO – Non fermarsi mai alle apparenze. E’ questo il messaggio che lascia i neredità alle nuove generazioni Giovanni Falcone secondo il giornalista e autore televisivo Giommaria Monti. Scrittore nel 2007 dell’opera sinfonica “Falcone e Borsellino. Il coraggio della solitudine”, collegata al libro scritto dall’autore sui due magistrati, che descrive l’atmosfera di solitudine e isolamento in cui si erano trovati prima di essere uccisi, Giommaria Monti in questa intervista sottolinea i lati che restano ancora poco chiari in merito alle stragi del 1992.

Perché è importante oggi ricordare una figura come quella di Falcone?
Ricordare quella storia, significa ricordare il nostro presente, non il nostro passato. Come dimostrano le cose che stanno emergendo in questi giorni, è una vicenda ancora molto aperta, non solo per quanto riguarda la fine di Falcone e Borsellino, ma anche su quello sul quale stavano lavorando tutti i giorni. Lì c’è stato un passaggio importante per la storia del Paese, che deve ancora essere scritto.
Ricordare Falcone oggi significa, intanto, onorare il magistrato e cosa ha fatto. Senza di lui e Borsellino, la lotta alla mafia avrebbe avuto un impatto meno forte. Senza di loro, non sarebbero mai iniziati i maxi-processi alla mafia. Ricordare significa capire cosa accadeva allora, e quindi comprendere meglio cosa succede oggi.

Su cosa occorre ancora fare chiarezza, in merito alle strage di Capaci?
Rispetto all’attentato di via D’Amelio dove perse la vita Paolo Borsellino, quel che è accaduto a Falcone è abbastanza definito. Quello che non è affatto chiaro è invece  cosa è accaduto nel 1992, che non ha riguardato solo la morte dei due magistrati, ma più in generale la storia del nostro Paese. Se Agnese, la vedova di Borsellino, mi dice in un’intervista che un mese prima di morire il Presidente Cossiga la chiamò e le disse che l’attentato di Via D’Amelio è stato come un colpo di Stato, senza aggiungere altro, significa che l’ex Presidente della Repubblica, gran conoscitore degli apparati dello Stato, sapeva che la mafia s’era introdotta all’interno dello Stato. Ciò vuol dire che qualcosa di grosso era avvenuto. Non dimentichiamoci che il 1992 è stato anche l’anno di Tangentopoli e in cui iniziò la Seconda Repubblica. L’idea che mi sono fatto è che ci sia un intreccio tra gli attentati dei due giudici e le vicissitudini politiche di quei tempi.

Quale eredità lascia il giudice Giovanni Falcone alle generazioni di oggi?
Io credo che la lezione, soprattutto per i giovani, è quella di “non fermarsi mai alle apparenze”. Giovanni Falcone non si fermava mai alle apparenze, anche quando aveva la soluzione a portata di mano: da buon magistrato, approfondiva sempre le evidenze, cercava sempre di capire ciò che ci fosse dietro, di supportarlo. Un’altra cosa che ci ha insegnato è quella di “spendersi in prima persona”, a qualunque costo.

23 maggio 2013

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