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Fernando Aramburu e il valore della memoria condivisa

Lo scrittore basco Fernando Aramburu torna a Pordenonelegge in occasione dell'uscita del suo ultimo romanzo "Il bambino". A presentarlo è stata Federica Manzon, neo vincitrice del Campiello. 

Occorre preservare la memoria condivisa attraverso musei e creare oggetti come film o romanzi per tramandarla. E’ questo il pensiero di Fernando Aramburu. Lo scrittore basco torna a Pordenonelegge in occasione dell’uscita del suo ultimo romanzo “Il bambino“, edito da Guanda. A presentare Aramburu, che a Pordenone vinse nel 2021 il Premio La storia in un romanzo, è stata Federica Manzon, neo vincitrice del Campiello.

Il punto di partenza: un fatto di cronaca

Un autore che si muove nelle lingue, ma nato a San Sebastian e mai dimentico delle sue radici: è lo scrittore al mondo che ha raccontato meglio le vite minime e i grandi fatti della guerra basca. Il romanzo parte da un fatto di cronaca: è il 23 ottobre 1980 in un piccolo paese della provincia basca e si sente all’improvviso un boato che provoca la morte di 50 bambini e di tre adulti.

“E’ una storia di dolore e di vita nello stesso tempo – dice lo scrittore – ma evitando però i toni melodrammatici: non voglio cercare emozioni ad affetto, ma intendo raccontare la gente della mia terra . Partendo da un dato di cronaca, era facile cadere nel retorico, perciò ho deciso prima toni e struttura e un espediente per cui il testo entra nella storia cioè una voce altra rispetto a quello che si racconta.”

“Ed è questo – interviene Federica Manzon – che lo rende emotivamente toccante. Anche tutti gli altri libri raccontano pezzi di realtà e sono romanzi verità con la presenza tuttavia di un elemento di immaginazione: come si possono bilanciare le due componenti?” “Io in realtà – spiega Aramburu – adotto un approccio al contrario degli autori storici, che partono dallo sfondo e poi collocano le loro figure. Io invece parto dai personaggi e poi ricostruisco il contesto, dando una sorta di illusione della verità e facendo in modo che gli elementi storici abbiano ripercussioni sulle vite e sui caratteri dei personaggi.”

Tra i personaggi del romanzo – i genitori e i nonni del bambino – emerge la figura di Mariaje, la madre che non vuole svelare le indiscrezioni della famiglia e non vuole che il padre sia rappresentato negativamente: “Questo accade – spiega Aramburu – perché voglio che il lettore viva la storia dall’interno come se fosse reale, quasi dimenticandosi dell’artificio del libro. Questo il mio obiettivo.

Identità e memoria il fil rouge del romanzo di Fernando Aramburu

“Che rapporto dobbiamo avere con la memoria sia privata che collettiva? – domanda Federica Manzon. “La memoria umana è fragile – osserva lo scrittore spagnolo – e quella condivisa esiste fuori dalla testa delle persone per cui sarebbe opportuno preservarla con musei e creare oggetti come film o romanzi. Il compito dello scrittore dovrebbe essere quello di salvare i momenti intimi delle persone, dando accesso al lettore al cuore delle frustrazioni dei personaggi, immedesimandosi in essi”.

Dalla memoria all’identità, attraverso un passaggio del romanzo in cui la madre di Mariaje chiede alla figlia se si sente basca e lei risponde “a volte”. Qual è dunque l’importanza dell’identità collettiva? “Qualsiasi principio anche positivo che porta all’estremo – dice Aramburu – è una forma di fanatismo: io ho imparato a non avere bisogno della mia identità, perché la mia non è messa in pericolo e se fossi un migrante sarebbe ovviamente diverso. Penso che rimanere aggrappati alle radici, ripetendo la vita dell’albero sia inutile e andarsene permette di essere una persona più completa ed interessante: voglio scegliere da solo quello che intendo essere, ma quando l’identità diventa una parete e un‘imposizione allora diventa nazionalismo.”

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