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E se riaprissimo le portinerie, come una volta?

Questa estate mi sono fatta compagnia leggendo libri gialli ambientati a Milano. Da Vertigine di Arosio/Maimone ai vari gialli di Renato Olivieri, era tutto un 'fiorire' di portinaie...

Questa estate mi sono fatta compagnia leggendo libri gialli ambientati a  Milano. Da Vertigine di Arosio/Maimone ai vari gialli di Renato Olivieri, era tutto un ‘fiorire’ di portinaie, che erano figure più che tipiche della Milano d’altri tempi: sapevano  tutto di tutto , eppure custodivano segreti,  avevano le chiavi degli appartamenti, talvolta li andavano pure a pulire, innaffiavano i fiori, facevano veloci commissioni e perfino le iniezioni…   guardiole milanesi, chissà perché, si ricorda soprattutto l’odore del cavolo cotto che emanavano, quasi fosse il cibo prediletto di quella strana professione.

Le portinerie, che a Milano negli anni Settanta erano ancora 16 mila, hanno ceduto il passo alle imprese di pulizia, ai videocitofoni, che però  non danno da mangiare al gatto quando non ci sei, non raccolgono le lamentele nei confronti del vicino rumoroso e non sanno distribuire la posta .’Per chi lavora ‘, ha detto una volta in un’intervista Benedetta Barzini, ex top model, giornalista e docente del Politecnico, ‘avere un alleato sotto casa è qualcosa di insostituibile. Peccato che sia sempre più raro sentire quel bel profumo rassicurante di minestrone e di cavolo che c’era una volta passando dalla portineria».

Le  guardiole  delle case milanesi erano anche altro. Per chi le abitava, spesso contadini scappati per fame dalla campagna,per lo più dall’Emilia o dal Mantovano, povera gente che aveva pochi soldi anche per una casa di ringhiera, erano un osservatorio fantastico per capire la città e chi la abitava. Chi stava lì, nel piccolo spazio di una guardiola e non si trovava così nella necessità di pagare l’affitto,  poteva usare i soldi guadagnati  per fare tanto, per lo più per fare studiare i figli, o per aiutare i parenti rimasti al paese.  

Fa sorridere, ma una volta le guardiole erano anche interessanti trampolini sociali, di solito verso l’alto. Per esempio Anna Bonomi (avete presente? Postalmarket e Miralanza, Montedison, compagnie di assicurazioni e perfino il Pirellone hanno avuto lei, signora dell’alta finanza,  come  promotrice) era figlia di Carlo Bonomi, proprietario di immobili nel capoluogo lombardo, e di una portinaia milanese . Erano tante, infatti, le  storie d’amore che nascevano negli androni e che hanno ispirato  scrittori, poeti, giornalisti interessati  ai piani alti e bassi dell’esistenza.

Oggi questa realtà è sparita. Ma, perché non farla rinascere? Perché non dare una casa a chi ne ha bisogno e  ha dovuto venire a lavorare in Italia? Molte famiglie di immigrati ne avrebbero beneficio,   potrebbero guardare – e imparare – da vicino come si svolge la vita nelle case  degli italiani. Sarebbe un primo passo per facilitare l’integrazione. Io la butto lì, come un’idea…  Come una storia di riciclo di valori.

Se l’argomento vi ha stuzzicato, leggete un buon giallo, di quelli che vi ho suggerito qui,  ma anche un buon Maigret, perché anche a Parigi chi faceva indagini andava in primis a bussare alla guardiola e le donne che le abitavano erano splendidi esempi di curiosità morbosa per i fatti altrui trasformata in professionalità.  E,  se non l’avete ancora fatto, leggete L’eleganza del riccio. E’ un libro di Barbery Muriel pubblicato da E/O nella collana Dal mondo: € 15,30. Disponibile anche in eBook a € 7,49. Tutto prende spunto, guarda caso, da una signora che lavora in una portineria.

Gloria Ghisi

3 ottobre 2014

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