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“Delitto e castigo”, il capolavoro di Dostoevskij che ci parla della nostra umanità

Siamo così strani, noi esseri umani! Capaci di rendere il mondo un paradiso e in un attimo l'inferno. Lo racconta Dostoevskij nel suo capolavoro "Delitto e castigo", il libro con cui vi diamo il buongiorno in occasione della Giornata Internazionale delle Coscienze.

Delitto e castigo” è uno dei capolavori della letteratura mondiale. In questo romanzo, Fëdor Dostoevskij ha raccontato l’essere umano in tutte le sue pulsioni più bestiali, nei suoi innumerevoli stati d’animo, nelle sue inclinazioni più alte ed in quelle più basse. Ha saputo esprimere l’infinita grandezza – e la rispettiva piccolezza – della nostra coscienza, con una storia che è diventata metafora della ricerca salvifica che ognuno di noi porta avanti nel corso della propria esistenza.

In occasione della Giornata Internazionale delle Coscienze, istituita per ricordare le vittime della violenza e della cieca sete di potere dell’uomo e per riflettere sul ruolo che ciascuno di noi riveste nella società, non potevamo che parlarvi di “Delitto e Castigo”.

La Giornata Internazionale delle Coscienze

Istituita con una risoluzione del 25 luglio del 2019, la Giornata Internazionale delle Coscienze è stata concepita dall’Organizzazione delle Nazioni Unite come una ricorrenza per ricordare e riflettere su tutte le ingiustizie, le brutture e le tragedie che colpiscono da sempre l’umanità a causa della nostra violenza e indifferenza.

Sembra impossibile che noi, entità singole in un mondo abitato da miliardi di individui, possiamo fare la differenza per qualcuno o qualcosa. Le guerre, la povertà, la fame, la malattia, la sofferenza di cui è pieno il mondo appaiono come mostri enormi e inarrestabili. La Giornata Internazionale delle Coscienze nasce proprio per questo scopo, per ricordarci che, nonostante siamo una goccia nell’oceano sterminato, una goccia può fare tanto, per se stessa e per gli altri.

Ecco perché oggi abbiamo scelto di iniziare la giornata con “Delitto e castigo”. Perché in questa opera, Dostoevskij ha raccontato la coscienza umana e il suo sterminato potere.

“Delitto e castigo”

Raskol’nikov è un giovane che è stato espulso dall’università e che uccide una vecchia usuraia per un’idea, per affermare la propria libertà e per dimostrare di essere superiore agli uomini comuni e alla loro morale.

Una volta compiuto l’omicidio, però, scopre di essere governato non dalla logica, ma dal caso, dalla malattia, dall’irrazionale che affiora nei sogni e negli impulsi autodistruttivi. Si lancia cosi in allucinati vagabondaggi, percorrendo una Pietroburgo afosa e opprimente, una città-incubo popolata da reietti, da carnefici e vittime con cui è costretto a scontrarsi e a dialogare, alla disperata ricerca di una via d’uscita.

I moti della coscienza raccontati in “Delitto e castigo”

“Io, quella vecchia maledetta, l’ammazzerei e la svaligerei, e senza nessuno scrupolo di coscienza, te l’assicuro […]. Se l’ammazzassimo e ci prendessimo e suoi soldi, per dedicarci poi con questi mezzi al servizio di tutta l’umanità e della causa comune, non credi che un solo piccolo delitto sarebbe cancellato da migliaia di opere buone?

Per una vita, migliaia di vite salvate dallo sfacelo e dalla depravazione. Una morte sola, e cento vite in cambio: ma questa è aritmetica! E poi, che cosa conta sulla bilancia generale la vita di quella vecchiaccia tisica, stupida e cattiva? Non più della vita di un pidocchio, di uno scarafaggio; anzi, vale meno, perché quella vecchia è dannosa”.

È affascinante e meraviglioso leggere le parole di Dostowvskij in “Delitto e castigo”. Ci sentiamo catapultati in un mondo in cui i cattivi non sono cattivi, e i buoni non sono buoni. Il mondo dipinto dall’autore russo è incredibilmente simile al nostro, quello reale in cui siamo immersi ogni giorno, dove non è semplice stabilire i confini di ciò che è giusto o sbagliato, e nessuno è del tutto buono o del tutto cattivo.

Così Raskil’nikov, protagonista di “Delitto e castigo” che impariamo a conoscere nelle sue sfaccettature più recondite, ci sembra a tratti un giovane malvagio, uno squilibrato che non sa stare al mondo, un eroe senza tempo, un povero disperato. E, leggendo “Delitto e castigo”, così come tutti gli altri romanzi del grande autore russo, impariamo qualcosa sulla vita e su noi stessi, spesso troppo poco consapevoli delle nostre potenzialità, in positivo come in negativo.

“Tutta, tutta la tortura di quelle lunghe ciance io sopportai, Sonja, e mi venne il desiderio di sbarazzarmene di colpo: io volli, Sonja, uccidere senza tante casistiche, uccidere per me, per me solo! Non volevo mentire a quel riguardo neppure a me stesso! Non per aiutare mia madre ho ucciso, sciocchezze!

Non ho ucciso per farmi, acquistata ricchezza e potenza, il benefattore dell’umanità. Sciocchezze! Ho ucciso semplicemente; per me stesso ho ucciso, per me solo […] Altro avevo bisogno di sapere, altro mi spingeva: avevo allora bisogno di sapere, e di sapere al piú presto, se io fossi un pidocchio, come tutti, o un uomo.

Avrei potuto passar oltre o non avrei potuto? Avrei osato chinarmi e prendere, o no? Ero una creatura tremante o avevo il diritto… […] allora fu il diavolo a trascinarmi, ma poi mi spiegò che io non avevo il diritto di andar là, perché anch’io ero un pidocchio così come tutti! Si fece beffe di me, ed ecco che ora son venuto qui! Accogli il tuo ospite! Se non fossi un pidocchio, sarei venuto da te? Ascolta: quando andai dalla vecchia, vi andai soltanto per provare… Sappilo dunque!”

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