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Dante e la guerra, la malvagità dell’uomo secondo il Sommo Poeta

In occasione del Dantedì, lo scrittore Dario Pisano ci aiuta a scoprire l'attualità di Dante Alighieri attraverso i versi della Divina Commedia in cui il Sommo Poeta analizza cosa porta l'uomo a combattere l'uno contro l'altro

Dante e la guerra vista con gli occhi del Sommo Poeta. Recentemente Papa Francesco ha detto che la guerra è “un controsenso della creazione, per questo la guerra è sempre distruzione”.

Negli ultimi tempi, con i conflitti in Ucraina, in Israele e nelle altri parti del mondo, una domanda è tornata a bussare con veemenza alla porta della nostra coscienza: come sia possibile che gli uomini continuino ad annientarsi reciprocamente, mettendo a repentaglio la propria sopravvivenza sulla terra?

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Il 25 marzo si celebra Dante Alighieri con il Dantedì: sono diverse e toccano tutte le arti le proposte per ricordare il Sommo Poeta e la sua vasta opera

Probabilmente aveva ragione lo storico latino Tacito (II sec. d.c.) il quale scrisse che “donec homines, vitia erunt” (finché ci saranno gli uomini, ci saranno anche i vizi e le malvagità ). Il filosofo seicentesco Thomas Hobbes diceva che Homo homini lupus, ossia ogni uomo è una minaccia per gli altri uomini. La conclusione non è confortevole: l’uomo ha un’essenza malvagia, e la gran necessità di farci male non ci abbandona mai. Dante Alighieri la pensava allo stesso modo.

Dante e la malvagità dell’uomo sulla Terra

Il ventiduesimo canto del Paradiso descrive l’ascesa di Dante nel cielo delle stelle fisse. La sua guida, Beatrice, lo invita a volgere lo sguardo per l’ultima volta in basso, verso la terra. Al poeta si offre il grandioso panorama dell’intero universo celeste ( vv. 133–135; “Col viso ritornai per tutte quante / le sette spere, e vidi questo globo / tal, ch’io sorrisi del suo vil sembiante”).

Laggiù, sul fondo, la terra non è altro che un puntino luminoso nella vastità indelimitabile del cosmo. La prospettiva rovesciata invita l’autore a riflettere sulla marginalità degli uomini; su quanto siano insignificanti e ridicole quelle manie di grandezza a causa delle quali non smettiamo mai di combatterci, gli uni contro gli altri.

A Dante che la contempla dall’alto, la terra appare come «l’aiuola che ci fa tanto feroci» (v. 51). Accreditiamo a Dante il merito di essere riuscito a fondere in undici sillabe i due piani ben distinti della descrizione oggettiva e della valutazione morale. 

Dante aveva fatto ampia esperienza della malvagità umana. Le peregrinazioni compiute negli anni dell’esilio gli rivelarono che tutta l’Italia era – al pari della sua Firenze, funestata ovunque da lotte fratricide.

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Chi era Dante? Qual era il suo profilo fisico e caratteriale? Esploriamo insieme allo scrittore e dantista Dario Pisano alcune curiosità legate alla vita del Sommo Poeta che non tutti forse conoscono.

I Fiumi della terra sono pieni di sangue

Nel canto quattordicesimo del Purgatorio, dedicato all’esplorazione della cornice degli invidiosi, Dante descrive il corso del fiume Arno, il quale per tutta la durata del suo tragitto dalla sorgente alla foce lambisce territori dove gli abitanti si sono trasformati in bestie sanguinarie.

L’Arno scorre dapprima tra sudici porci (i Casentinesi) più degni di mangiare ghiande che cibo umano, poi trova dei botoli (gli Aretini) ringhiosi. Nel suo basso corso, dove la valle è più ampia, l’Arno trova una fossa dove i cani sono diventati lupi (i Fiorentini), e infine scende in bacini profondi e incontra volpi dedite alla frode (i Pisani), tanto che non temono alcuna astuzia.

Scriverà Salvatore Quasimodo: “Quanto sangue / nei fiumi della terra”.

Questa è l’Italia: il teatro di una guerra infinita.

La terra è una briciola di male

Altri poeti dopo Dante hanno riflettuto sull’insignificanza della terra vista dallo spazio. Giacomo Leopardi, nella poesia La Ginestra – ambientata sulle pendici del Vesuvio – tornerà a ragionare sulla piccolezza dell’uomo di fronte al cosmo.. Siamo tutti stipati in una nave azzurra sospesa nello spazio, una favilla dell’immenso incendio galattico, eppure ci crediamo al centro dell’universo, ignari di vivere in un oscuro granel di sabbia, il qual di terra ha nome.

Qualche tempo dopo Giovanni Pascoli si immetterà in questo solco: nella poesia X Agosto, interpreterà la pioggia di stelle cadenti durante la notte di S. Lorenzo come le lacrime del cielo versate sulla malvagità degli uomini:

E tu cielo, dall’alto dei mondi,
sereno infinito immortale
oh di un pianto di stelle lo inondi
quest’atomo opaco del male.

Concludo questa breve rassegna con i versi – ironicissimi – di Guido Gozzano tratti da una delle sue poesie più famose, ossia La signorina Felicita:

Ecco – pensavo – questa è l’Amarena,
ma laggiù, oltre i colli dilettosi,
c’è il Mondo: quella cosa tutta piena
di lotte e di commerci turbinosi,
la cosa tutta piena di quei “cosi
con due gambe” che fanno tanta pena…

Perché siamo al mondo?

Il primo a scrittore a descrivere la terra vista dall’alto è stato Cicerone ( I sec. a. c. ) il quale in una delle sue opere più famose ( Somnium Scipionis ) descrive un sogno fatto da Scipione l’ Emiliano, il quale raccontò di avere incontrato nella Via Lattea suo nonno, Scipione l’Africano, che gli aveva rivelato qual è la missione che ogni uomo deve realizzare sulla terra:

“Homines enim sunt hac lege generati, qui tuerentur illum globum, quem in hoc templo medio vides, quae terra dicitur.”

(Gli uomini infatti sono stati generati con questo compito, affinché custodiscano quel globo che tu vedi nel centro di questo spazio, che è chiamato terra.)

È proprio vero: i grandi scrittori sono coloro i quali danno del “ tu “ alla vita. La lezione che Cicerone ci offre ha una validità perenne (la voce dei classici appartiene a un “sempre”): uno dei rimedi per combattere il male è imparare a sentirci responsabili della bellezza del mondo.

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