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Danilo Dajelli, ”La nostra libreria è un presidio non solo culturale, ma anche sociale”

Se le librerie fossero in grado di farsi punti di incontro, in cui le persone, e soprattutto i ragazzi, possano trascorrere il tempo, discutere, scambiarsi idee, forse questo contribuirebbe ad avvicinare la cultura alla gente. È lo spunto di riflessione che ci suggerisce Danilo Dajelli, che gestisce insieme alla moglie e a un gruppo di amici la Libreria Gogol & Co. di Milano...

Il titolare della libreria Gogol & Co. di Milano presenta la sua attività e parla dell’importanza delle librerie come centri di aggregazione della comunità

MILANO – Se le librerie fossero in grado di farsi punti di incontro, in cui le persone, e soprattutto i ragazzi, possano trascorrere il tempo, discutere, scambiarsi idee, forse questo contribuirebbe ad avvicinare la cultura alla gente. È lo spunto di riflessione che ci suggerisce Danilo Dajelli, che gestisce insieme alla moglie e a un gruppo di amici la Libreria Gogol & Co. di Milano. In questo spazio non ci si occupa solo della vendita di libri. Ci sono anche infatti un “angolo caffè”, dove ci si può sedere a bere un bicchiere di vino o a gustare qualche stuzzichino, e tavoli dove mettersu a studiare con il proprio computer, sfruttando la rete wi-fi gratuita. Luoghi di questo tipo sono gioielli nelle nostre città, ma purtroppo non si fa abbastanza per supportarli.

Come nasce la libreria Gogol?
La libreria nasce come sogno di un gruppo di amici – le persone che compongono la squadra infatti si conoscono da molto tempo. L’idea è venuta sulle panchine di un parco, mentre chiacchieravamo e immaginavamo un posto che avesse come protagonista il libro e ci permettesse di lavorare e vivere insieme. Questo sogno è poi diventato un progetto concreto. Siamo arrivati nel Giambellino, il quartiere dove è nata e cresciuta mia moglie, che non bazzicavamo da un po’, e ci siamo ritrovati in quest’angolo dove oggi è la libreria. Si tratta di un lato nuovo del quartiere, che esiste da tre o quattro anni. Prima del recente intervento immobiliare questa era una zona industriale, completamente occupata dalle fabbriche che si estendevano fino alla periferia, un’area del Giambellino totalmente abbandonata a se stessa. Siamo riusciti così a strappare un buon affitto in uno dei posti più intriganti della città, al punto di incontro tra due realtà completamente diverse una dall’altra: lo storico e popolare quartiere e la nuova area della moda e dell’arte – via Tortona, via Savona, via Solari – dove trovano spazio studi fotografici, d’architettura, showroom. Lavoriamo in un ambiente molto stimolante.

Qual è l’offerta della libreria?
Nel corso degli anni, al libro si è aggiunto il cibo come protagonista del nostro sogno, sia perché crescendo ci siamo appassionati al cibo come cultura, sia perché la libreria indipendente era uno spazio commerciale in difficoltà. Abbiamo dunque fatto di necessità virtù: abbiamo pensato che forse dove non si poteva arrivare con il libro si sarebbe potuti arrivare con un bicchiere di vino o un pezzo di formaggio. Del resto noi volevamo creare un presidio non solo culturale, ma anche e soprattutto sociale. Volevamo quindi dar vita a uno spazio che invitasse le persone a restare. Ci sono una rete wi-fi gratuita, di modo che i ragazzi possano venire qui con il computer a studiare, i giornali a disposizione di tutti, che forniscono lo spunto per animare la discussione tra un bicchiere di vino e l’altro t, i divani al piano di sopra, dove le persone possono accomodarsi a trascorrere il tempo.
Poiché questo è un quartiere estremamente diversificato, la nostra offerta è molto varia. La filosofia è comune per il libro e per il cibo: lavorare con realtà piccole, indipendenti, non legate alla grande distribuzione, che fanno della qualità il loro marchio.


È questa la vostra risposta alla concorrenza delle grandi librerie di catena?

Nel corso degli anni a questo riguardo si è modificato un po’ la mia visione. Prima consideravo la grande distribuzione come il nemico da combattere, quello che porta via i clienti. Ora invece mi sono reso conto che la libreria di catena ha uno spazio complementare a quello della piccola libreria indipendente. Bisogna fare in modo che entrambe le realtà lavorino in maniera autonoma e paritaria. Nella libreria di catena non ci sono librai, ma commessi, quindi il modo di differenziare la nostra offerta è leggere, studiare, fare un lavoro vecchio stile, creare percorsi culturali e prestare molta attenzione all’assortimentoo. Quasi tutti i libri che noi esponiamo e vendiamo non appartengono alle classifiche dei libri più venduti.

Oggi numerose le librerie indipendenti stanno chiudendo, particolare clamore ha fatto qui a Milano il caso della storica libreria Utopia, costretta a trasferirsi dal centro alla periferia della città. A cosa è dovuta secondo lei questa pesante crisi?
È una domanda cui forse non sono preparato a rispondere. Probabilmente le persone preferiscono guardare la televisione piuttosto che leggere un libro. Negli ultimi vent’anni abbiamo assistito davvero a un declino culturale, e ora ne stiamo subendo le conseguenze. Certo dagli organi politici non c’è un grande supporto. Lo spostamento di Utopia ha avuto qualcosa di clamoroso e triste allo stesso tempo. Pensare che un patrimonio culturale come questo, che fa parte dell’immaginario collettivo della città, possa spostarsi dal centro alla periferio nel silenzio e nel disinteresse generale è qualcosa che ha dell’incredibile. La libreria è davvero un presidio sociale, un luogo che permette la circolazione e lo scambio di idee e pensieri.


In Italia forse manca questa capacità di coniugare l’aspetto culturale e l’aspetto sociale…

Direi di sì. O quanto meno sembra mancare il desiderio di valorizzare questi spazi. Se dall’oggi al domani chiudiamo, qui attorno rimane una distesa di cemento e basta. Noi offriamo un servizio importante, con dedizione e passione: questo dovrebbe essere riconosciuto.

 

1 marzo 2013

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