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Daniele Nani, medico e scrittore ”Con il mio libro vi invito ad aprire gli occhi e a guardare le cose partendo dalla percezione”

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Nella migliore tradizione della fenomenologia, Daniele Nani, nel suo nuovo libro ”Fisionomie e categorie – Introduzione a un’ontologia del vivente”, ci invita ad aprire gli occhi, guardare ciò che ci si presenta (la nostra stanza, un panorama, una via trafficata della città)  e ad interrogarci.

MILANO – L’interrogazione fenomenologica va alla radice della nostra esperienza, in primo luogo di quella percettiva. E’ richiesto inizialmente ”solo” un cambio di atteggiamento nei confronti di ciò che vediamo e sentiamo: proviamo a sospendere quell’operazione automatica che fa si che noi vediamo proprio una sedia dietro alla scrivania o un’automobile e una casa per la strada. Può essere che a questo punto quello che prima percepivamo senza riflessione come questo o quello si riveli nella sua presenza originaria come un “senso” spogliato di tutti i significati intellettuali che la nostra visione naturale ci propone nella costituzione degli oggetti dell’esperienza. Un argomento sicuramente non semplice quello trattato da Daniele Nani nel suo ultimo libro ‘Fisionomie e categorie – Introduzione a un’ontologia del vivente’ (con prefazione del dottor Gianfranco Dalmasso). Per comprendere meglio questo interessante libri, abbiamo intervistato l’autore. Ecco cosa ci ha raccontato.

Con il suo libro affronta una tematica non certo semplice: quella del ‘mito scentifico’ nell’approccio ai temi della vita. Ci spieghi meglio…

Il mito scientifico nasce col Rinascimento, quando il sapere verbale aristotelico viene man mano sostituito da un sapere logico-matematico adatto a formalizzare gli eventi della natura e, successivamente, i fatti sperimentali, secondo il criterio dell’arcata della conoscenza (fatti, eventi, generalizzazione, nuovi fatti, eventi, e così via fino a sviluppare una teoria). La scienza, grazie a Newton e a Bacone, diventa sempre più il luogo della certezza, sostituendosi alla ormai decadente teologia medievale. Nel nostro tempo, le antiche scuole di pensiero che si contrapponevano nell’agorà filosofica, l’idealismo/realismo (Platone e Aristotele) e lo scetticismo (Gorgia e Protagora) le ritroviamo rispettivamente nella corrente fenomenologica e in quella della filosofia analitica. E’ grazie a quest’ultima che la scienza si è sviluppata nel senso del “mito scientifico”: il predominio della tecnica. La fenomenologia invece si è assunta il compito di indagare il significato. Sono perciò due facce di una stessa medaglia.

Il suo libro è un invito ad aprire gli occhi, a guardare ciò che ci si presenta. Perché è importante? E come si può imparare?

Il mio libro si pone dal punto di vista della fenomenologia, e, perciò, invita ad aprire gli occhi, a guardare le cose partendo dalla percezione, la funzione che possiede la caratteristica di svolgersi nel presente istantaneo, nell’hic et nunc. Solo partendo dal presente e dalla percezione possiamo cogliere il mondo come un’autodatità che si dona (e non solo come un gioco linguistico nel senso di Wittgenstein). Si può imparare a guardare il mondo modificando la scala temporale. Noi viviamo nel ricordo di ieri e nell’attesa di domani, abbiamo sempre a che fare coi giorni, coi mesi e con gli anni. Bisogna imparare a soggiornare nell’hora fenomenologico, nel presente percettivo che ha, invece a che fare con l’istante. E’ a questo livello che si rivelano i fenomeni e le strutture di senso e di significato.

Senso e significato, quindi, che ruolo hanno nell’esperienza percettiva?

Senso e significato vanno ritrovati a partire, appunto, dal presente percettivo, l’unica certezza che possediamo veramente. Goethe ha soggiornato, nei suoi studi scientifici, soprattutto nel mesocosmo, cioè sulla scala dei sensi e dei fenomeni. Non sulla scala microcosmica, delle cellule e degli atomi e particelle, e neppure sulla scala macrocosmica degli astri e degli asteroidi. Nessun microscopio o telescopio è necessario per indagare il senso e il significato. Il linguaggio autentico, quello degli umani e degli animali, si è sviluppato sulla scala mesocosmica. E’ a questo livello che si rivelano i simboli.

Lei è un medico chirurgo, esperto di Antroposofia, tecnica che ha influenzato il suo sguardo e il suo modo di fare terapia. Di che cosa si tratta? E cosa c’è di diverso dalla medicina tradizionale dell’Accademia?

Negli anni Ottanta sono entrato nel movimento antroposofico. L’Antroposofia di Rudolf Steiner non è una dottrina, ma è un metodo di conoscenza di sé e del mondo che si può “prendere” da diverse parti. Io l’ho presa dal lato della fenomenologia goethiana. Da qui è partito anche il mio interesse per la fenomenologia di Husserl e della scuola in lingua tedesca che ha origine a Vienna con Franz Brentano  alla fine dell’Ottocento. Brentano è stato maestro di Husserl ma anche di Steiner. La medicina antroposofica, come in generale l’Antroposofia, può essere a sua volta presa da più parti. Io ho preso anch’essa dal lato della fenomenologia e ho incontrato, in questo cammino anche l’omeopatia. La medicina antroposofica, come l’omeopatia sono medicine complementari. Il futuro della medicina tutta va in questa direzione. Occorre ampliare il proprio sguardo e i propri orizzonti.

Questo è il suo terzo  progetto letterario. Programmi futuri? Quali argomenti vorrebbe approfondire

 Il lavoro futuro lo sto completando e ha già un titolo Sillabario ontologico-Fenomenologia e neuroscienze  (in pubblicazione presso Novalis, Milano) e si svolge in maniera aforismatica, affrontando il tema della vita e quello dell’anima e moltre altre cose… tra cui il cervello, gli animali, le piante i quattro elementi e Goethe.

Come può la scrittura aiutare a migliorare il mondo della medicina? Il suo è un libro per pochi o una lettura che può aiutare ed essere di interesse anche per i meno esperti?

Tutti i libri si possono leggere o studiare. Quindi esistono molti livelli di approccio. La parte iniziale è un’introduzione alla fenomenologia partendo abbastanza dalle radici, e cercando di essere anche un poco didattici. La scrittura, questo tipo di approccio al vivente, al senziente e all’umano, credo possa essere utile per risollevare (non voglio sembrare un velleitario!) la Bildung, l’educazione dell’umano che esiste in ognuno di noi, in quest’epoca che può essere ben rappresentata dalla domanda di Hölderlin, nell’elegia Brot und Wein: “cosa dice il poeta nel tempo di povertà”, cioè la domanda cruciale nei tempi di crisi e di caduta dei valori supremi.

1 luglio  2014

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