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Cristina Comencini, ”La protagonista del mio libro vive le contraddizioni della donna di oggi”

Come tutte le donne dei nostri giorni, Sara è divisa tra il desiderio di libertà e realizzazione personale e il desiderio di creare legami. La sua storia è emblematica di una grande trasformazione che sta coinvolgendo la vita di tutti noi, le nostre relazioni, il modo di stare insieme. Così la presenta Cristina Comencini parlando del suo ultimo libro, ''Lucy''. Al termine dell'articolo, un estratto del romanzo in anteprima...

La scrittrice, sceneggiatrice e regista cinematografica ci presenta il suo ultimo libro

MILANO – Come tutte le donne dei nostri giorni, Sara è divisa tra il desiderio di libertà e realizzazione personale e il desiderio di creare legami. La sua storia è emblematica di una grande trasformazione che sta coinvolgendo la vita di tutti noi, le nostre relazioni, il modo di stare insieme. Così la presenta Cristina Comencini parlando del suo ultimo libro, “Lucy”. Sara è una paleoantropologa, studia l’evoluzione della specie umana, e la sua professione e passione scientifica ha sottratto tempo agli affetti e alla famiglia. Il marito Franco l’ha lasciata, preferendole una donna più stabile, e con i figli Alex e Matilde, ormai indipendenti, il rapporto non è semplice. Un giorno Sara sparisce, lasciando solo una lettera. In attesa di una spiegazione, Franco, Alex e Matilde iniziano a ripercorrere il loro passato, il dolore della separazione. E su tutti loro c’è lo sguardo della protagonista, che sa leggere la loro storia come parte di un processo di cambiamento più grande. La scrittrice – che è anche sceneggiatrice e regista cinematografica, come suo padre Luigi Comencini, maestro della commedia all’italiana – ci parla del suo libro e della sua passione per la scrittura.

 
Com’è venuta l’idea per “Lucy”?

Ho scritto questo libro perché volevo raccontare le grandi trasformazioni che stanno coinvolgendo le nostre vite e stanno cambiando  molto rapidamente le nostre relazioni, la famiglia, il modo di amarsi e procreare. L’idea era che ci fosse al centro della storia un personaggio nuovo, rappresentativo di questi nostri nuovi anni: una donna autonoma, libera, che di questa libertà avesse pagato il prezzo. Non volevo però adottare un punto di vista esclusivamente psicologico, limitato alla sfera privata di quella donna e della sua famiglia. Volevo che il libro avesse uno sguardo molto più ampio. Da qui è venuta l’idea di fare della protagonista un’antropologa, una donna che studia le grandi trasformazioni culturali, genetiche e ambientali della specie umana, che  ha del mutamento una visione ampia. Ho cominciato allora a fare ricerche più approfondite, e mi si è chiarito che Sara doveva essere più precisamente una paleoantropologa, una studiosa che si occupa della trasformazione che dagli ominidi porta fino all’homo. C’è infatti una sorta di dialogo che si insatura tra la protagonista e la sua progenitrice di milioni di anni fa, Lucy [Nel 1974 furono rinvenuti in Etiopia i resti di un ominide femmina vissuto più di 3 milioni di anni fa. I ricercatori la chiamarono Lucy – N.d.R.]. Ed è questo dialogo che permette a Sara di vedere quello che sta accadendo a lei e alle persone che ha intorno non come qualcosa di privato, ma come un grande processo collettivo di trasformazione, anche doloroso.

Veniamo proprio al personaggio di Sara: ci sono dei tratti autobiografici nella sua caratterizzazione?
Sì e no. Sara è una donna molto coraggiosa, la chiamerei una pioniera. Io credo di aver fatto una vita più “normale” della sua, ma allo stesso tempo c’è un po’ di Sara in me, come in tutte le donne di oggi. C’è in particolare la contraddizione permanente, che è la bellezza e anche la fatica del cambiamento, tra un grande desiderio di libertà, tra l’essere proiettate verso la realizzazione personale, e la volontà di formare dei legami, avere dei bambini e portare avanti una relazione con l’uomo. Una relazione che però vogliamo fondata su presupposti nuovi, sulla parità. Tutto questo crogiuolo di aspirazioni e tendenze contrastanti che appartengono a Sara, appartengono a me come a tutte. In Sara però sono più forti e violente le contraddizioni. Ma questo è del resto il ruolo della letteratura e del romanzo: i suoi personaggi devono essere emblematici.


In effetti sono sempre più le voci femminili in letteratura che parlano di una ricerca d’identità da parte della donna, che non trova il suo senso solo nella famiglia. Sara è dunque una figura emblematica di questo tempo?

Totalmente! È una figura emblematica di questo tempo in cui da due o tre generazioni sta accadendo quello che chiamo in maniera simbolica una “cladogenesi”, ossia una rottura e un cambiamento molto netti, del modo di stare insieme. Sara è un’eroina, la protagonista dei nostri giorni. Lei viene da una famiglia operaia, per cui il primo cambiamento che vive è quello del posizionamento nella società: diventa una studiosa, si sposa con un borghese. C’è quindi anche un rimescolamento di classi sociali, non privo di difficoltà. Viene poi la più grande trasformazione, quella dell’indipendenza, il tema dell’amarsi come donna e dell’amare una donna che non è più quella di prima, che non ha più il destino di prima, che si sceglie un ruolo diverso da quello di un tempo. Questo rappresenta per il marito una difficoltà nella vita di tutti i giorni: non spegne il suo interesse per lei ma rende le cose più complicate.

A proposito del difficile rapporto di Sara con l’amore e con suo marito Franco: c’è molta solitudine nella vita di Sara. Quali sono, se ci sono, le sue “colpe” per questa solitudine, e quali sono invece quelle della controparte maschile?
Il libro dice proprio che non ci sono colpe: il romanzo dà a ognuno la sua voce e parla con le ragioni di ciascuno. I figli e Franco tendono a incolpare Sara, lei dal canto suo rimprovera a Franco l’incoerenza – il fatto che prima amasse la sua libertà e poi invece non la sopportasse più. Ma il fatto stesso che nel romanzo ci siano tutte queste voci compone un universo nuovo, in cui non c’è più nessuno che comanda veramente né che ha ragione. La ragione del tutto, dei nostri affetti in questa società così frammentata e ricca di diversità, la dà l’insieme. Sara è l’eroina dei nostri tempi, ma lo sono anche tutti i suoi amici e famigliari: partecipano anche loro al grande cambiamento in atto. Non ci sono colpe, c’è solo questo processo di trasformazione che ci coinvolge tutti in una grande avventura.


Lei si è avvicinata alla scrittura attraverso il cinema, lavorando innanzi tutto come sceneggiatrice e poi anche come regista, seguendo così le orme di suo padre. Crede che la figura di suo padre abbia avuto un ruolo nell’attrarla verso questo mondo?

Il mio primo desiderio in realtà era quello di scrivere, non di lavorare nel cinema: ho cominciato  con le sceneggiature, poi ho scritto un primo romanzo, che non ho pubblicato, e un secondo che invece Natalia Ginzburg ha spinto per far pubblicare. Dopo l’uscita del mio secondo libro, mentre stavo cercando di far pubblicare anche il mio primo romanzo, mi è stato offerto di fare un film da un mio soggetto. Casualmente dunque si sono alternate queste due carriere, ma tutto il mio lavoro parte dalla scrittura, io volevo essere una scrittrice.
Poi naturalmente il cinema è nella mia famiglia, mio padre era un grande maestro, quindi ho un senso di grande familiarità con la drammaturgia cinematografica. Papà mi ha trasmesso tanto, innanzi tutto enorme attenzione alla cultura e alla semplicità, come nel cinema popolare, che deve essere di qualità e allo stesso tempo riuscire ad arrivare a tanti. Ho ricevuto da lui moltissimi insegnamenti, non tanto direttamente, perché mio padre non aveva un atteggiamento didattico, ma dal modo con cui lavorava: lo sguardo che aveva sulle cose era carico di una grande cultura, ma in grado di farsi semplice nel raccontare. Era sempre molto umano, e metteva al centro della sua attenzione l’umano. Da lui mi ho appreso anche l’allegria di questo lavoro. Ma la differenza con lui è che per me il punto di partenza di tutto è sempre stato la scrittura.

 

19 febbraio 2013

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