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In cosa consiste la “Mafia Caporale” in Italia oggi

Intervista a Leonardo Palmisano sul suo romanzo-inchiesta che mette in luce una condizione economico-sociale degradata e malata, che imperversa anche oltre i confini nazionali

MILANO – “Mafia Caporale”, di Leonardo Palmisano, è un romanzo-inchiesta che mette in luce una condizione economico-sociale degradata e malata, che imperversa anche oltre i confini nazionali. Si tratta di un sistema che si nutre dello sfruttamento degli esseri umani. Una metamafia, a volte, invisibile! Sconfiggerla è possibile e sta accadendo grazie a chi, sempre più spesso, denuncia. Ma non è abbastanza! È indispensabile lo sviluppo di una coscienza critica individuale, direttamente interconnessa con un forte senso di responsabilità che possa scardinare quello che è definibile un sistema schiavistico moderno.

Spesso con “caporalato” ci si riferisce solo ed esclusivamente al mondo dei campi. Lei va ben oltre con il suo libro, dà prova dell’esistenza della mafia caporale ovunque. Il sud non è detentore del primato, quindi.

No, anzi, siamo dentro ad un sistema molto articolato, che si struttura molto di più dalla crisi ad oggi. È un po’ la reazione dei sistemi produttivi che possono avere ancora una vita dopo la crisi, e sono l’agricoltura e i servizi. Perché l’industria è destinata ovviamente a sparire. Per lo meno da certe aree dell’Europa, e l’Italia è una di queste. E poi, con la robotica cambia tutto. La risposta è stata questa: aumentare il tasso di sfruttamento, che dentro non ha solo l’abbassamento dei salari. Tutto avviene su scala globale: forte segmentazione dei contratti, là dove ci sono, e forte divisione della manodopera all’interno; con delle punte neo-schiavistiche che toccano prevalentemente i più deboli: donne immigrate nere e minori. Questo è il quadro! L’Italia, probabilmente, è un po’ il laboratorio dell’Europa. Il fenomeno del caporalato non è limitato ad alcune aree. Si tratta di un sistema che ha una novità rispetto al passato, una differenza culturale: il ‘900 è l’epoca del diritto conquistato, il nuovo millennio è quella del diritto violato e talvolta la violazione non viene riconosciuta! Molti dei lavoratori non hanno alcuna cognizione del diritto al contratto, ad esempio, che siano stranieri o italiani. Si ragiona molto per slogan e pochi intervengono su questo.

È un disastro!

È interessante come disastro, perché ti fa leggere la fortissima debolezza del sistema produttivo, cioè del sistema d’impresa.

Lei parla di prostituzione, sfruttamento di minori, camionisti e tanto altro. Mi vorrei soffermare proprio sulle parole di un camionista: “Il trasporto illegale di esseri umani viene risarcito con il rispetto del contratto di lavoro”.

Il contratto è diventato oggetto di ricatto! È come quando a braccianti e prostitute viene sottratto il passaporto: il contratto è l’identità del lavoratore, non un’identità aggiuntiva. In un Paese che ha al primo punto della costituzione un fondamento, che è il lavoro, come fatto costitutivo dell’identità nazionale, il contratto è proprio l’identità della persona! Se diventa oggetto di ricatto, l’identità stessa diventa oggetto di ricatto! E questo, è un ingresso a gamba tesa in un ambito che non è più quello salariale. Quindi, sbaglia chi sposta tutta l’attenzione politica sulla questione del reddito. Lì, ha ragione Bergoglio: l’obiettivo deve essere il lavoro. Dopo viene il reddito, perché non è costitutivo dell’identità!

In tutta questa situazione che descrive, la gravità aumenta a causa di tutti coloro che dicono/pensano: “Ok, funziona così e io mi adeguo”.

Certo, ma sbagliano. Mi preoccupa questa cosa nel momento in cui penso alla crisi della rappresentanza sindacale, che va ben oltre i confini nazionali. Va da sé che se qualcuno dice – “Vabbè mi adeguo” –  evidentemente il sindacato non ha fatto un’operazione di formazione a non adeguarsi.

Però bisogna trovare il sindacato non corrotto. Lei stesso fa cenno a ciò nel libro.

Sì, ma più che di corruzione materiale, parlerei di corruzione culturale. Nel senso che ho come la sensazione che alcuni pezzi del sindacato abbiano dimenticato di fare proprio formazione presso i lavoratori. Mettiamola così!

Leggendo i racconti degli incontri che lei ha avuto con i bambini, mi chiedevo: quanto sono coscienti della loro condizione?

Come tutti i bambini sentono la fatica fisica. È la prima cosa! Tornano a casa e muoiono di sonno. Loro hanno la vitalità dell’infanzia mortificata dalla fatica.

E cosa verrà fuori da tutto questo?

Schiavi, sottoproletari, sotto-acculturati che non andranno a scuola. Probabilmente violenti, alcolizzati.

Questo non va ad inficiare il lavoro di chi prova a risollevare la situazione, a fare passi avanti?

È colpa dello Stato! Lo Stato non trattiene quei bambini dentro la legalità. Ma è colpa anche della famiglia. Non devono lavorare, devono andare a scuola! Il loro non è lavoro, è la sostituzione di un’altra persona che dovrebbe lavorare, è evasione fiscale: un crimine. Soprattutto quando è perpetrato a danno di un minorenne.

Poco tempo fa ha presentato il suo libro a dei liceali di Bari (Liceo G. Bianchi Dottula), come hanno reagito al testo e a tutte le sue parole?

Loro sono bravissimi! Si tratta di una scuola che raccoglie da ambienti dove c’è lavoro nero, e quindi si sono rivisti! Hanno visto i loro parenti, le mamme, i padri. Hanno reagito bene, loro per esempio vogliono il contratto. Ed è bellissimo! C’è, secondo me, anche nell’adolescenza un pezzo che esce dall’illusione. Il racconto di questo tipo di adolescenza manca ultimamente! Loro non sono solo bulli, tossici, stupratori, ecc. No!

Un viaggio per l’Italia il suo. Parte da Bari e vi fa ritorno. Tanti percorsi, tante persone incontrate, ascoltate e che quasi sicuramente non rivedrà mai più. Cosa le hanno lasciato?

L’ho fatto anche per dare centralità alla Puglia, perché è una regione poco raccontata nelle vicende drammatiche che riguardano il Paese. Il viaggio mi ha lasciato il desiderio di intraprenderne un altro, che ho già iniziato. Dopo “Ghetto Italia” e “Mafia Caporale”, vorrei creare un terzo libro e dar vita così ad una trilogia sulla sfruttamento. Affronterò la tratta in Nord Europa. In molti casi le persone che ho incontrato mi hanno lasciato una profonda tristezza, commozione. In altri, invece, l’idea di essere nel giusto.

 

Silvia Savini

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