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Conversazione con Lucia Corsale

Lucia Corsale, giornalista siracusana, ha scritto i racconti Il Plasma di Ciccio, illustrato da Francesco Nania e distribuito dall’Avis comunale nel 2007. Con Il brillante di Turi, ancora inedito, ha vinto nello stesso anno il III premio al concorso letterario “La Mongolfiera”. Nel 2010 è stata pubblicata la raccolta Le cravatte di Corpaci per l’editore Emanuele Romeo. Nell’antologia Frammenti di vita (Commissione parità dell’Aics direzione nazionale 2012) è inserito il suo racconto Il canto del gallo. nel 2015. Della raccolta Tempo sospeso, curata da Luigi La Rosa (Algra editore, 2015) fa parte Il compleanno. Don Antonio è il suo primo romanzo.


Ciao, Lucia, eccoci qui a fare due chiacchiere sulla biografia di don Antonio Saitta, appunto intitolata Don Antonio, pubblicata di recente, in cui racconti la vita romanzata di un sacerdote che operò per diversi anni a Cassibile. Un’opera interessante sia per il contenuto, sia per il taglio che hai dato alla ricostruzione della vita di don Antonio, sia per la scelta linguistica. Vorrei iniziare da quest’ultimo aspetto, per poi passare agli altri due. Come potresti definire la lingua con cui hai raccontato questa storia?

Per conferire maggiore veridicità allo scritto mi sono servita di una lingua miscelata, a slalom tra italiano e dialetto siciliano. Don Antonio, infatti, non soltanto prende l’abbrivio nel 1920, quando la padronanza della lingua italiana era prerogativa di poche classi sociali, ma è ambientato in Sicilia e soprattutto a Cassibile, area periferica di Siracusa. L’italiano a cui ho attinto, però, non è soltanto quello popolare, ossia l’italiano parlato da coloro che hanno per madre lingua il dialetto e che tentano, compiendo una moltitudine di errori, di italianizzarlo. Nel libro vi sono anche chiare tracce dell’italiano regionale, ossia di quell’italiano che nasce dall’incontro tra lingua nazionale e dialetto e di cui un classico esempio, per quanto riguarda la nostra terra, potrebbe essere il verbo posposto al soggetto, nonché dell’italiano normativo, ossia dell’italiano ideale parlato da quanti, come molti professori, sono sensibili al problema della norma linguistica. Nella stesura di tale biografia romanzata ho prestato ascolto, infine, ai palpiti del mio cuore, perché in vernacolo usava rivolgersi a me la mia cara mamma.

 

E adesso parliamo del contenuto, quindi del materiale che hai raccolto e degli studi che hai dovuto compiere. E di come poi tu sia riuscita a dare al materiale puramente biografico, ai nudi fatti, la forma romanzata che caratterizza questo libro.

Per la raccolta del materiale ho potuto attingere a più fonti scritte e orali. Tra le prime figurano le lettere, i documenti, redatti dallo stesso don Antonio e custoditi dai parenti, nonché le missive di sacerdoti, vescovi del tempo recuperati qua e là. Dell’altra categoria fanno parte, invece, le testimonianze resemi, oltre che dagli stessi parenti, da numerosi abitanti di Cassibile che conservano vivido il ricordo di don Antonio, nonché dai Passionisti di Borgetto, nel cui monastero don Antonio fu portato ancora bambino e le cui dure regole provocarono in lui un profondo dissidio interiore che lo indusse successivamente ad abbandonare l’ordine. All’attività di ricerca hanno fatto seguito la catalogazione in ordine cronologico del materiale cartaceo, nonché l’approfondimento con verifiche incrociate della vita di don Antonio. Infine, per evitare che la biografia potesse risultare piatta, non soltanto mi sono calata nei panni di don Antonio e dei vari personaggi, ma ho colorato con la fantasia alcuni nudi fatti.

 

Un’operazione impegnativa, quindi. Pensi adesso di dedicarti a un altro genere o ti sei affezionata alla ricostruzione biografica?

La ricostruzione biografica di Don Antonio, nata da un’idea del nipote, Biagio Saitta, mi ha, certamente, affascinata perché mi ha consentito di ricostruire sia un pezzo di storia del quartiere, considerato un paese a parte, che l’impegno profuso dal sacerdote per i residenti. Ad allettarmi ancora di più è stata l’infanzia tribolata di don Antonio, che, agendo da punto di rinforzo, gli ha consentito successivamente di affrontare la diffidenza dei residenti di Cassibile e le situazioni di degrado. A mio giudizio, senza travaglio non c’è crescita, e, dunque, cambiamento. Non penso, comunque, di dedicarmi ad un’altra ricostruzione biografica; mi piacerebbe, piuttosto, scrivere qualcosa sui codici linguistici.

                                                                                                                               

Una domanda su Lucia Corsale lettrice. Qual è l’ultimo libro che hai letto? E l’ultimo che ti ha appassionato? In effetti le domande sono due, a questo punto te ne faccio una terza: il libro o l’autore che più hai amato nella tua vita?

L’ultimo libro che ho letto è stato Dona Flor e i suoi due mariti di Jorge Amado, il cui tessuto narrativo si dipana, anche in flashback e con una certa piega fantastica, tra la briosa vita dei quartieri popolari della Bahia. L’ultimo libro che mi ha appassionato è stato La lunga vita di Marianna Ucrìa di Dacia Maraini, in cui il riscatto della protagonista, vissuta in una fascinosa Sicilia di metà ‘700, e la cui vita è segnata da un profondo shock, mi sembra antesignano dell’emancipazione femminile. Tra i libri che ho amato di più figura, senz’ombra di dubbio, Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, la cui trama, che si dipana tra amori e Storia, ci restituisce l’essenza del gattopardesco spirito siciliano.

 

Una polemica che di tanto in tanto si riaccende riguarda il tema “donne e scrittura”. Esiste davvero, secondo te, una scrittura femminile o, come si sente anche dire, una scrittura al femminile (come dire “all’arancia”, “al gusto di cannella” o “al sapore di frutti di bosco”?)

Secondo me è sbagliato parlare di scrittura “femminile”, soprattutto se con un’accezione di inferiorità. L’abilità dello scrittore non dipende, certamente, dall’appartenenza al genere maschile o femminile, ma dalla capacità di analizzare i personaggi e di rappresentarli al meglio. Esistono tante scritture quante sono gli scrittori. Ognuno di essi, infatti, seppure impercettibilmente, finisce per trasferire nella trama frammenti del proprio vissuto, del proprio bagaglio emozionale, della propria sensibilità.

 

Grazie, Lucia, per il tuo tempo e le tue risposte.

 

Lia Messina

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