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Clara Sereni, “Nel mio libro vi racconto com’era vivere a Roma durante il Sessantotto”

Abbiamo intervistato Clara Sereni, che nel suo libro “Via Ripetta 155” ci porta nella Roma dal’68 al ’77, tra contestazioni e i primi veri assaggi di modernità

 

 

MILANO – Clara Sereni, una delle autrici più importanti del panorama italiano, ci prende per mano e ci porta nella sua Roma in un decennio di profondi contrasti e cambiamenti: un periodo storico che avrebbe cambiato il Paese, e che ha formato la sua vita. Questo è “Via Ripetta 155” (indirizzo in cui l’autrice abitava), il libro che Giunti ha candidato al Premio Strega 2015. Abbiamo intervistato l’autrice, che ci ha raccontato la sua esperienza, cos’ha significato per lei questo periodo e cosa consiglia ai ventenni di oggi.

 

Il suo libro racconta uno spaccato di Italia, di Roma e della sua vita dal 1968 al 1977: come nasce l’idea di questo lavoro?

La nascita è stata abbastanza banale: un amico più giovane di me a cui raccontavo di tanto in tanto dei “faits divers”, come direbbe Stendhal, perché li ritenevo in un modo o nell’altro significativi, continuava a dirmi: “Ma perché non la scrivi, questa roba?”. E alla fine, senza sentirmi Stendhal, è venuto fuori questo libro. Con la fissazione che ho da molto tempo di fare un po’ di luce su quegli anni, di cui si è raccontato poco e spesso male: confondendo il movimento del ’68 con quello del ’77, e inchiodando ambedue al terrorismo, come ne fosse l’unico risultato. Invece in quegli anni l’Italia è cambiata in profondità, ha fatto un notevole balzo in avanti sul terreno, innanzitutto, dai diritti civili: è passata da una sorta di medioevo a una modernità che ci sembrò quasi scontata, ci sembrò la modernità di un Paese normale, come non eravamo e ancora non siamo mai stati.

 

Che cosa hanno rappresentato per lei questi anni? Che ricordo ne ha? Che cosa ha provato nel riviverli attraverso questo libro?

Quegli anni, e anche una decina di quelli successivi, mi hanno formato. Ho dovuto imparare a vivere, scienza nella quale non ero particolarmente versata. Questo apprendimento è avvenuto in un ambito collettivo, il che fa una grande differenza rispetto ad arrangiarsi da sé. Non ho avuto bisogno di riviverli attraverso questo libro: quella formazione me la porto dentro, e me la vedo allo specchio ogni mattina. Anche per questa ragione la parola “politica”, oggi così connotata negativamente, per me continua ad avere un significato alto: perché la politica è l’arte di cambiare il mondo, e con questo libro volevo ricordare un tempo in cui questo è stato possibile. E se è successo una volta, può succedere ancora.

 

Domanda generazionale: che cosa unisce e che cosa separa i ventenni del 1968 e quelli del 2015? Che consiglio vorrebbe dar loro?

Siamo stati una generazione fortunata: potevamo scegliere se andarcene di casa o restare, perché il lavoro era a portata di mano. Potevamo fare figli o non farne, perché era arrivata la pillola. Avremmo anche potuto scegliere la lotta armata, ma per fortuna pochi di noi lo fecero, e quella divenne una tragedia collettiva. Quanto ai ventenni, davvero tremano le vene ai polsi rispetto all’idea di dar loro un consiglio. Tutto sembra cospirare per escluderli da ogni esperienza, compresa quella della memoria storica. Che dire? “Non lascate che vi taglino fuori”? Ci provo, quando mi capita di parlare con i ventenni, ma ho paura che la recepiscano più che altro come una mozione degli affetti.

 

“Via Ripetta 155” è candidato al Premio Strega 2015. Una sua opinione in merito? Che cosa vorrebbe dire per lei questo riconoscimento?

Vivo questa candidatura con molta calma, sono già passata attraverso lo Strega e ne conosco bene i meccanismi, per cui non posso scaldarmi più che tanto. Comunque mi fa piacere, ovviamente, e la ritengo cosa comunque utile per il libro, ma è passato da molto il tempo in cui pensavo che partecipare a quel premio volesse dire che la Cultura italiana si chinava sul tuo lavoro e lo esaminava con occhi sgombri. Il dibattito è tutto incentrato sui pettegolezzi, più o meno come ogni anno.  Certo, vincerlo sarebbe una buona cosa, ma se non toccasse a me non eleverei alti lai, non mi metterei a sbraitare contro i premi e le loro combines, come spesso accade.

 

 

© Fotografia di Marzia Souza

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