Uno dei romanzi più importanti del Novecento olandese, “Chimere” di J. Bernlef arriva solo ora in Italia grazie a Fazi editore. Cosa sono, dunque, le “Chimere” di cui si parla nel titolo? Già presente nel mito greco, come creatura mostruosa che sputa fuoco, la Chimera, nel mondo etrusco e italico in generale, diventa simbolo del sacrificio per il viaggio nell’aldilà e da qui, nel tempo, verrà comunemente associata a un’illusione, un qualcosa che sfugge e che per quanto lo si rincorre non si riesce a prendere. Esattamente come gli eventi e le esperienze della sua vita che Maarten, protagonista del romanzo di Bernlef, cerca disperatamente di inseguire senza successo.
Chimere
Sinossi del libro
I coniugi olandesi Maarten e Vera, settantenni, vivono da tempo negli Stati Uniti, sulla costa a nord di Boston. Vedono raramente i due figli, Kitty e Fred, che abitano nei Paesi Bassi. La loro è una vita abitudinaria, scandita da piccoli riti: le passeggiate con il cane Robert, le visite dei vicini, le puntate al pub locale, la pizza della domenica. Il mondo di Maarten comincia a sgretolarsi quando una mattina si affaccia alla finestra e non trova quello che si aspettava: al posto dei bambini chiassosi in attesa dello scuolabus, vede soltanto un paesaggio innevato. «È domenica», gli ricorda Vera.
Per la prima volta, Maarten si accorge di provare una «sensazione di momentanea assenza in piena coscienza, un senso di smarrimento, di spaesamento». Il suo primo istinto è quello di dissimulare, minimizzare, non farne parola con la moglie prima di capire perché il passato e il presente sempre più spesso si confondono e i ricordi diventano un’illusione sfuggente…
La perdita della memoria
Il tema -la dissolvenza della memoria- è narrato in prima persona da Maarten Klein, un settantenne che vive con la moglie Vera sulla costa a nord di Boston. I due, emigrati dall’Olanda negli Stati Uniti da tempo, vivono una vita appartata e tranquilla, scandita da piccole abitudini rilassanti e sempre uguali: la pizza alla domenica, le passeggiate con il cane Robert, qualche battuta con i vicini. I figli ormai adulti non si fanno né vedere né sentire se non occasionalmente.
Ma un giorno tutto cambia quando Marteen guarda fuori dalla finestra e non vede quello che si aspetta di vedere: i bambini in attesa del pulmino mattutino con i loro zaini colorati e i lori allegri schiamazzi. L’uomo non riesce a capire. In effetti non solo quel giorno è domenica e non è nemmeno più mattina, come gli spiega dolcemente Vera, porgendogli il tè pomeridiano. Marteen non ricorda assolutamente nulla di quanto era accaduto prima, tuttavia, anche se con un filo di preoccupazione, si spiega tutto con la sua poca memoria.
“In mancanza di memoria puoi soltanto guardare, e allora il mondo ti scorre attraverso senza lasciare traccia”
E’ però un episodio da cui l’uomo non tornerà più indietro. Il giorno dopo porterà fuori il cane per la passeggiata quotidiana ma, inspiegabilmente, tornerà a casa da solo. Una mattina si veste di tutto punto, convinto di dover andare al lavoro, quando è ormai in pensione da anni. E ancora comincia a scambiare il giorno per la notte: è convinto di essersi appena svegliato ed invece è già buio. Vera all’inizio non si capacita e reagisce duramente.
“Maarten, ma come hai fatto a dimenticare il cane. Maarten, ma sono quattro anni che non lavori più! Maarten ma quale caffè, sto per infornare la pizza..”
Lui abbozza, ma inizia ad agitarsi e ad essere inquieto come se qualcuno lo stesse ingannando. Sente di essere in difficoltà, ma lotta e non si lascia andare anche se dice: “Mi sento come una barca,una barca a vela intorno alla quale non tira vento. E poi all’improvviso il vento si alza e io ricomincio ad avanzare. Il mondo ha di nuovo presa su di me e io partecipo al suo movimento».”, se lo ripete spesso e gli sembra di essere lucidissimo.
Poi la situazione comincia a precipitare e noi che leggiamo proviamo a mano a mano la stessa disperazione di lui e di lei, la stessa impotenza quando Maarten non riesce più a vestirsi da solo o ad andare in bagno, quando crede che i propri genitori siano ancora vivi e che la guerra non sia ancora finita.
Vera dalla rabbia iniziale è passata alla disperazione perché vede la lora vita, cinquant’anni insieme, sfumare dalla memoria di lui e ridursi al vuoto: “la gente della nostra età vive dei propri ricordi. Persi i ricordi, non rimane nulla”: dice Vera, quando neanche sfogliando l’album delle fotografie, come il medico le ha consigliato, serve più a niente. Accanto a Maarten ruotano figure minori che rispondono ai richiami d’aiuto di Vera: sono il dottor Eardly e poi la giovane badante Phil Taylor, che il protagonista scambia per un’amica dei figli e che, giorno dopo giorno, continua a non riconoscere nonostante lei ora faccia parte della famiglia.
Una scrittura dolce e avvolgente
Il tema principale è quella della memoria che porta a chiederci se sia più crudele il destino di lui cioè svanire piano piano senza rendersene quasi conto o di lei che vede la persona amata perdere sé stesso e infine dimenticarla almeno in parte, senza poter fare nulla. J. Bernlef descrive la malattia in maniera accurata e pertinente, ma racconta di essa con espressioni assolutamente umane, con pensieri e parole di estremo coinvolgimento e garbo. Poche pagine per esprimere tanto, senza mai addolcire o omettere scomode verità, sempre con estrema eleganza e tatto.
A partire dai colori “verde muschio, grigio tortora, rosa fenicottero o rosso ruggine” che fanno da sfondo alla vicenda che si snoda dalla primavera fino all’inverno ed ecco che nella più fredda delle stagioni, quando il gelo penetra nelle ossa, si insinua la speranza : “Ascolti solo la voce che sussurra […] si può guardare, guardare fuori… il bosco e la primavera imminente… la primavera che sta per cominciare” e un attimo prima che la mente di Marteen si perda del tutto riesce a scorgere in Vera, tutte le donne che sono state accanto a lui e ricorda di averle amate tutte.