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Julia Phillips, “Per combattere la violenza domestica c’è ancora tanto da fare”

"La terra che scompare" tra i dieci migliori libri del 2019 secondo il New York Times", è il romanzo d'esordio dell'autrice americana che tratta i temi della violenza femminile

La scrittrice americana Julia Philipps è intervenuta in diretta straming a Pordenonelegge  per presentare per la prima volta in Italia il suo romanzo d’esordio “La terra che scompare” (Marsilio). Il libro, già tradotto in moltissime lingue, è stato finalista del National Book Award dello scorso anno ed è presente nella top dieci dei libri del 2019 secondo il New York Times.

La violenza femminile e altri temi del libro

Un romanzo che inizia come un giallo ambientato in Kamčatka, all’estremo nord-est della Russia. Qui due bambine di undici e otto anni vengono rapite da un uomo. Trascorrono settimane, mesi, ma delle piccole Alëna e Sofija non si trovano tracce, e le indagini della polizia non portano a nulla. L’espediente narrativo è un pretesto per scoprire questa terra inospitale e bellissima e per parlare di sopraffazione e violenza e difficoltà di autodeterminazione da parte delle donne.

“Sono tematiche queste – spiega Julia Phillips – che ho imparato sul campo quando ho lavorato in una ONG che si occupava di dare sostegno alle vittime sopravvissute alle violenze domestiche, che sono di molti tipi. In quell’esperienza lavorativa ho imparato che c’è un ampio spettro non solo delle violenze, ma anche delle forme di guarigione”. “L’ambientazione in questa terra remota è fondamentale – dice la scrittrice – Ho vissuto in Kamčatka all’indomani dello scioglimento dell’Urss, una terra di contrasti che mi aiutato a capire sia la contrapposizione con gli Stati Uniti sia a ripensare in chiave diversa la mia nazione”.

La corrispondenza fra paesaggio e personaggi

La ricerca della verità nel romanzo diventa un viaggio lungo un anno attraverso il paesaggio quasi incantato della Kamcˇatka. L’oceano gelido, i vulcani, le montagne, i boschi, i geyser, le distese solitarie e sconfinate della tundra, attraversata dalle greggi di renne. L’asprezza del luogo corrisponde al profilo aspro e crudo delle persone. “E’ lì che ho imparato – spiega la scrittrice – che il paesaggio e le persone si corrispondono e in quel paradiso perduto e seducente, le tensioni etniche e sociali incalzano fin dai tempi del crollo sovietico e gli outsider – di qualunque genere siano – diventano il facile bersaglio della paura e dell’intolleranza”. La misteriosa scomparsa delle due ragazze fa riaffiorare nelle comunità della penisola timori e lutti mai sopiti, rievocando misteri che forse non saranno mai risolti. Sono soprattutto le donne, russe e indigene, ad avvertire il peso di quell’oscuro avvenimento.

Il ruolo delle donne nel romanzo

Donne indurite e stanche, ma sempre fiere, che sfidando la predestinazione alla sofferenza cercano amore, amicizia e lealtà, e sperimentano sulla propria pelle delusioni e abbandoni. Nel suo romanzo d’esordio, che comincia come un giallo ma diventa una storia complessa molto più sfaccettata, Julia Phillips esplora la complessità dei ruoli. Soprattutto di quelli femminili all’interno di una società chiusa, che la geografia stessa taglia fuori dal resto del continente. Il tutto in una Russia lontanissima e ben diversa da quella che conosciamo. Al centro di tutto, ci sono le donne della Kamčatka, chiamate a sopravvivere alla precarietà dell’esistenza e dei legami familiari. Esse sono però unite da quei sentimenti ancestrali che tengono insieme una comunità, una penisola, un mondo intero. Sono costrette a cavarsela da sole tra tradizione e paura del nuovo.

Il collegamento tra un romanzo che parla di violenze esplicite ed implicite sulle donne con quanto sta avvenendo nel mondo a seguito del movimento #metoo è naturale. “Questo movimento ha cambiato la percezione della violenza – spiega Julia Phillips – nel senso che quello che si diceva in privato ora è diventato pubblico e certe tematiche sono diventate mainstream: sono caduti insomma dei tabù. Questo è un fattore importante ma la guarigione dalla violenza è ancora un fatto singolo ed individuale non collettivo. Il cammino è ancora molto lungo”.

Alessandra Pavan

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