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“Antigua, vita mia”, una donna si racconta attraverso il proprio rapporto con un’altra

Antigua.

La lingua si bea nel pronunciare un nome che evoca un mondo di mare, di baie, di pesci, di riso croccante, di noci di cocco e di canne da zucchero. Un mondo da mangiare, da gustare.

 

Non a caso uno dei più famosi romanzi di Marcela Serrano, edito nel 1995, si intitola: “Antigua, vita mia” e racconta di una donna che si mostra ai lettori attraverso il confronto/scontro con un’altra.

Due donne riescono a conoscersi solo guardandosi l’una nell’altra, riflettendosi come in uno specchio.

Una ha gli occhiali buffi, una è figlia di panettiere in una scuola di borghesi.

Una ha un metabolismo ottimo, l’altra lotta con la bilancia e si sottopone a diete continue.

Una usa la stessa gonna per un ventennio, l’altra colleziona abiti di lamè per le serate.

Una ha una madre atipica, l’altra pure.

Una è madre atipica, l’altra pure.

Una cerca la vita nelle pieghe e nelle sfumature, l’altra pure.

Una è vittima del proprio stesso amore per un uomo, l’altra pure.

Una cerca il fulgore, ossia fugge la banalità, l’altra pure.

 

Entrambe diverse nell’essere uguali, nell’essere ventri dall’ombelico dilatato, al punto di trovare il proprio centro a distanza infinita; genitrici di figli e di popoli; figlie di viscere, di storie, di etnie e di terre fatte di nostalgia.

Nostalgia per ciò che si era.

Per ciò che si sarebbe potuto essere.

Per ciò che mai si vedrà, ma si intuisce.

Marcela Serrano ci regala una intensa storia, con interessati risvolti psicologici e sociali, di Donne ambientata in un’America latina magica, suadente, struggente e con contraddizioni insanabili. Una terra che è essa stessa donna, madre imperfetta, ma pur sempre madre.

 

Emma Fenu

 

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