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Ecco perché l’italiano è una lingua viva, “non da museo”

Il giornalista Paolo Di Stefano sulle pagine del Corriere della Sera ha condotto un'inchiesta legata allo stato della lingua italiana. Ecco i dati più interessanti

MILANO – “C’è una lingua più bella dell’italiano?” Da questa domanda inizia l’inchiesta condotta dal giornalista Paolo Di Stefano sulle pagine del Corriere della Sera. In questo suo approfondimento, il giornalista va alla ricerca dei motivi per cui è un peccato non sfruttare l’immenso patrimonio della nostra lingua, fatto di parole in continua evoluzione, preferendogli invece anglismi o parole straniere.

RISORSA DA TUTELARE – L’analisi di Di Stefano parte dal riconoscere per la lingua italiana “punte eccelse di stile, di dolcezza, di eleganza, di armonia”, riconosciute anche all’estero e nel corso dei secoli. “La lingua italiana – afferma Di Stefano – è una risorsa per il Paese, anche economica, oltre che culturale e identitaria. E come ogni risorsa, per essere conservata, anche la lingua ha bisogno di cure, di attenzione”.

 
LINGUA FUNZIONALE – L’inchiesta di Di Stefano prosegue con la raccolta di alcune testimonianze dell’Accademia della Crusca, in particolare del presidente onorario Francesco Sabatini, che afferma “Lo stereotipo della bellezza è antico, e dall’Ottocento si è rafforzato grazie al teatro e alla lirica”, e dello studioso accademico della Crusca Harro Stammerjohann, il quale ha raccolto nel libro “La lingua degli angeli” i giudizi, spesso lusinghieri, raccolti per secoli all’estero dall’italiano. La funzionalità dell’italiano è difesa con forza dalle fasce medio-basse della popolazione secondo Sabatini. “I parlanti meno colti, dopo aver tanto faticato a impadronirsi dell’italiano, si ribellano, non vogliono tornare a sentirsi esclusi dall’uso della lingua, non sopportano di vederla strapazzata dal discorso pubblico o dall’invadenza dei forestierismi”.

 

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ATTENZIONE AGLI ANGLICISMI – Già in passato, noi di Libreriamo vi abbiamo proposto le 50 parole straniere che potremmo benissimo dire in italiano occasione dell’iniziativa ‘Dillo in italiano”, la petizione lanciata per rivendicare l’uso della lingua italiana da parte delle istituzioni. La crescente apertura alle parole anglofone risulta evidente da alcuni dati Zingarelli: gli anglicismi registrati nel decennio 1984-94 erano il 7% del totale dei neologismi, mentre dal 1995 al 2016 sono quasi raddoppiati, arrivando a quota 13%. Il direttore dello Zingarelli Mario Cannella sottolinea l’inutilità di portare avanti una battaglia a priori contro la lingua inglese, ma allo stesso tempo bisogna stare attenti a non esagerare. “Visto che per la prima volta nella nostra storia la popolazione, da Bolzano alla Sicilia, usa una lingua standard comunemente vissuta e accettata, sarebbe importante consolidarla, senza lasciarsi andare alla sciatteria o allo snobismo di accogliere tutte le parole straniere”.

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L’EVOLUZIONE DELLA LINGUA – L’inchiesta di Paolo Di Stefano prosegue con l’analisi dell’evoluzione della nostra lingua italiana. “I lemmi totali dei vocabolari italiani si aggirano tra i 140 e i 180 mila. Le parole nuove registrate nel 2016 vanno dalle 300 alle 500. Attingere ai dati è diventato molto più semplice grazie alla rete, molto più difficile è selezionare tra le parole caduche e quelle destinate a resistere”. Un’evoluzione costante, che desta però alcune preoccupazioni. Il filologo Luca Serianni è preoccupato circa il provvedimento che prevede nelle scuole l’insegnamento di materie non linguistiche in lingua inglese e lo scadimento del discorso pubblico a favore di un linguaggio medio-basso che dovrebbe piacere alla cosiddetta gente comune. Per abbattere questi rischi, Serianni consiglia di utilizzare un italiano di buon livello prendendo come riferimento la letteratura della tradizione novecentesca, “che presenta una lingua all’altezza dei suoi contenuti”, e la scrittura degli editoriali giornalistici che riflettono sull’attualità, definiti “esempi di chiarezza e di capacità argomentativa”

 

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L’ITALIANO NEL MONDO – L’ultima parte dell’inchiesta di Paolo Di Stefano riguarda l’influenza che la lingua italiana esercita nel resto del mondo. “Negli Istituti Italiani di Cultura gli iscritti ai corsi linguistici sono circa 68 mila. Il 4% della popolazione tedesca e di quella francese dichiara di parlare la nostra lingua”. Come viene giudicata all’estero la nostra lingua? Viene etichettata come “lingua di cultura” secondo Michele Gazzola, economista della lingua alla Humboldt-Universität di Berlino, facendo attenzione all’italiano popolare che ha molta diffusione internazionale grazie al successo all’estero di cantanti come Toto Cotugno e i Ricchi e i Poveri in città come Mosca. Secondo Gazzola, l’idea di  italiano come lingua della lirica e della tradizione letteraria, è “un’idea museale”. “L’italiano è una lingua viva e funzionale, anche se limitata nella diffusione, una lingua che favorisce l’accesso ad alcuni settori di eccellenza della vita economica e culturale”. Per far salire le quotazioni internazionali, Gazzola consiglia di “disporre di un ottimo livello di studi, anche in italiano, e non perché l’italiano suona bene, ma perché è una lingua attiva, indispensabile a certi rapporti commerciali”.

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