The Handmaid’s tale: il grande finale della serie tv tratta dal romanzo di Margaret Atwood

3 Luglio 2025

Scopri il gran finale della serie e le sue implicazioni sorprendenti nel mondo de "The Handmaid’s tale". Analisi e riflessioni sul suo impatto.

The Handmaid's tale: il grande finale della serie tv tratta dal romanzo di Margaret Atwood

The Handmaid’s Tale appartiene senza dubbio alla seconda categoria, in quanto serie destinata al piccolo schermo, ma di grande successo nonostante non parli di argomenti iper chiacchierati, ma anzi di nicchia. Non per niente, Il racconto dell’ancella tratta argomenti spigolosi che non tutti sono volonterosi di conoscere. Una serie che fa aprire gli occhi e prepotentemente.

Nata dalla mente lucida e visionaria di Margaret Atwood, la distopia di Gilead ha attraversato le stagioni televisive come un pugno in pieno volto. E ora, con l’arrivo della sesta e ultima stagione, la serie si prepara a chiudere un ciclo narrativo che è andato ben oltre la fiction, diventando un vero e proprio fenomeno culturale e politico.

Curiosità sulla serie tv

Margaret Atwood compare brevemente nel primo episodio della serie, colpendo simbolicamente la protagonista durante l’addestramento.

Il personaggio di Zia Lydia è ispirato a una vera insegnante autoritaria avuta da Atwood durante l’adolescenza.

La serie ha vinto 15 Emmy Awards, tra cui Miglior serie drammatica, ed è stata la prima produzione Hulu a ottenere questo riconoscimento.

The Handmaid’s Tale: il gran finale della serie che ha cambiato la storia della TV

The Handmaid’s Tale non è stata solo una serie TV. È stata un termometro culturale, un’allerta sociale, un grido collettivo. Ha raccontato la paura, la resistenza, la maternità, la perdita, il potere e la redenzione.

Il suo finale non è solo la chiusura di un arco narrativo, ma la consapevolezza che ciò che sembrava fantascienza è, in molti contesti, già realtà. Per questo non si tratterà mai di “un semplice addio”. Una distopia più vera del vero Quando nel 2017 The Handmaid’s Tale debuttò su Hulu (poi in Italia su TimVision e Amazon Prime), il mondo si trovava in una fase storica densa di tensioni: l’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti, la rinnovata battaglia per i diritti civili e il corpo femminile, il risveglio delle coscienze con il movimento #MeToo.

In questo contesto, la storia di June Osborne, costretta a diventare un’ancella per partorire figli al posto delle mogli dei comandanti, suonava come un avvertimento concreto, non una distopia futuristica.

Il romanzo di Atwood risaliva al 1985, ma i suoi temi, il controllo dei corpi, il fanatismo religioso, la manipolazione della memoria, trovavano nuova linfa nella narrazione visiva curatissima della serie, che mescolava estetica sacrale e brutalità.

La fotografia iconica, fatta di inquadrature simmetriche e toni lividi, e la recitazione viscerale di Elisabeth Moss hanno fatto il resto.

Nel corso delle stagioni, la protagonista June (Elisabeth Moss) è passata da vittima a rivoluzionaria, trasformandosi nel simbolo di una lotta che riguarda non solo le donne ma l’umanità intera.

La sua voce fuori campo, i suoi sguardi in camera, la sua rabbia mai anestetizzata hanno contribuito a costruire un personaggio complesso, contraddittorio e umano.

La serie ha osato dove altri prodotti si sarebbero fermati: ha mostrato la tortura fisica e psicologica, la perdita, la vendetta. Ma ha saputo anche restituire la bellezza della resistenza, la tenacia dei legami, il coraggio di non piegarsi.

È questo equilibrio tra crudeltà e speranza che ha reso The Handmaid’s Tale così potente.

L’ultima stagione celebra un addio, ma anche un passaggio di testimone? Con la quinta stagione, la serie ha iniziato a spostare l’asse del racconto verso una dimensione più corale. Non solo June e Serena (Yvonne Strahovski), ma anche personaggi come Luke, Janine, Moira e Lydia hanno trovato spazio per evolversi.

Il finale ha lasciato molti nodi aperti: June è in fuga, Serena è madre, Gilead continua a estendere la sua ombra. La sesta e ultima stagione, si preannuncia come un capitolo conclusivo che farà da ponte con I Testamenti, il sequel letterario scritto da Atwood nel 2019.

Secondo alcune indiscrezioni, ci saranno flashforward, nuovi luoghi e forse il passaggio definitivo dalla distopia del romanzo all’universo seriale espanso.

I fan sperano in un epilogo che non tradisca l’impegno politico e la complessità morale della narrazione. Una serie che ha cambiato anche il linguaggio visivo The Handmaid’s Tale ha influenzato profondamente il linguaggio delle serie TV contemporanee.

Il suo uso della luce naturale, i primi piani statici, la colonna sonora anacronistica (dalla musica classica a Kate Bush) hanno fatto scuola. Ma soprattutto, ha ridefinito il ruolo delle donne nella serialità: non più solo vittime o eroine, ma soggetti morali pieni di contraddizioni.

E poi ci sono i simboli: la cuffia bianca delle ancelle, i mantelli rossi, le cerimonie rituali… tutto è diventato metafora. Anche chi non ha mai visto un episodio conosce quell’iconografia.

Le proteste in tutto il mondo, dall’Argentina all’Ungheria, si sono spesso ispirate a Gilead per denunciare leggi antiabortiste o attacchi ai diritti civili. Questo è il segno più evidente di un impatto culturale destinato a durare.

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