Squid Game è diventato un fenomeno globale non solo per l’azione e le scene splatter, ma per la sua feroce allegoria al capitalismo estremo. L’autore lo ha definito come una storia su “Una competizione estrema, quasi come l’estrema competizione della vita”.
Eppure, nonostante la sua potenza simbolica, Hwang Dong‑hyuk ha scelto di non dichiarare apertamente l’ispirazione che i suoi fan accaniti hanno subito intravisto nella sua ambientazione, mantenendo piuttosto un linguaggio metaforico e universale che fosse in grado di evitare tensioni politiche o morali.
Squid Game, la storia vera tra critica sociale e silenzio storico
È nella storia, però, che Hwang Dong‑hyuk affonda le radici di Squid Game, nella Corea del Sud degli anni ’70–’80.
Alcuni analisti sostengono che il suo silenzio sia dovuto alla necessità di rendere la serie fruibile a livello globale, altri che non voglia strumentalizzare un evento troppo tragico, un episodio ancora troppo doloroso e fresco, inadatto all’intrattenimento.
Cos’era il progetto Brothers Home
Dietro il silenzio di Hwang si cela la tragica realtà del Brothers Home, un centro di supposta assistenza per senzatetto a Busan tra il 1976 e il 1987.
Più di 16.000 persone furono prelevate dalla strada — e tra questi ci furono anche bambini, disabili e donne — e poi recluse in condizioni disumane.
Tutti, nessuno escluso, vennero costretti a lavorare, subirono violenze fisiche e psicologiche, torture e sopraffazioni.
Un reportage di Al Jazeera titolato “Secrets of South Korea’s house of horrors hidden in Australia” descrive un episodio raccapricciante: “Park Soon‑hee… Waves a child’s undergarment… ‘the Brother’s Home had imprinted its authority on our bones and in our memories.’”. L’inchiesta South Korea’s House of Horror parla di schiavitù, abusi, stupri e omicidi, anche di bambini costretti a tagliarsi i capelli e sottoposti a addestramenti militarizzati.
Le donne abusate venivano costrette a portare avanti le gravidanze e dopo aver dato alla luce i bambini ne venivano private per essere adottati — o per meglio dire comprati — al di fuori della Brothers Home, che divenne di fatto una base per il traffico di minori. Soltanto nel 2020, il governo sudcoreano ha istituito una commissione di verità e riconciliazione per indagare su questi centri, riconosciuti come parte del programma statale di “purificazione sociale”, attivo in vista degli eventi internazionali del 1986–88.
Le altre ispirazioni dell’autore più chiacchierato degli ultimi tempi
Sembrerebbe, tuttavia, che l’idea di Hwang Dong‑hyuk non parta da Brothers Home ma dalle sue esperienze personali: ha scritto la sceneggiatura nel 2009, in piena crisi economica, dopo aver venduto persino il proprio laptop per sopravvivere.
Ma c’è di più. In interviste successive ha dichiarato di essersi ispirato anche alla lotta dei lavoratori della SsangYong Motor, protagonisti di uno sciopero di 77 giorni nel 2009, per riflettere il crollo improvviso della classe media e di essere influenzato da opere giapponesi come “Battle Royale” , “Kaiji” e “Liar Game”.
I giochi come metafora
Il gioco “un‑due‑tre, stella” (Mugunghwa kkochi pieot seumnida), le biglie, il ddakji e lo Squid Game stesso non sono soltanto richiamo all’infanzia degli anni ’70–’80 diventano strumenti crudeli di selezione.
Hwang stesso ha raccontato di voler “usare giochi d’infanzia perché sono semplici da spiegare e terribilmente simbolici”. Il contrasto tra le tinte sgargianti e la morte violenta simboleggia la perversione adulta delle regole sociali che, già da piccoli, educano alla competizione e all’obbedienza — valori distorti in un mondo governato da denaro e disperazione.
Tuttavia, queste stesse tini sono anche quelle sopravvissute nella Brothers Home.
L’autore in primo piano
Hwang Dong‑hyuk (nato nel 1971) è laureato sia in Corea che in USA, e nel corso della sua carriera ha già affrontato temi scomodi: in “ Silenced” (2011) denunciò gli abusi su bambini disabili, contribuendo a cambiare la legge penale. Con “ Squid Game” ha ricevuto premi internazionali, tra cui un Emmy per la regia, diventando la prima voce coreana a conquistare quel riconoscimento.
Nonostante il suo successo globale — con quasi 600 milioni di spettatori tra Stagioni 1 e 2 e un terzo capitolo conclusivo uscito a fine giugno 2025 — Hwang si definisce “un uomo semplice, che guida ancora un’auto vecchia”. È noto per non amare l’eccesso di gore, pur riconoscendo che la violenza simbolica serve a denunciare le disuguaglianze.
Storia, simbolo e responsabilità
Squid Game emerge come un’opera densa, stratificata e necessaria. Il rifiuto di esplicitare l’ispirazione da Brothers Home non ne riduce la forza politica, ma ne amplifica la portata simbolica, trasformando un evento storico gravemente ignorato in un racconto universale sulla brutalità dell’ingiustizia economica.
Hwang Dong‑hyuk si mantiene fedele a una forma narrativa che dà spazio alla riflessione, lasciando al pubblico il compito di colmare i silenzi e di leggere tra le pieghe.