“Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio / dei primi fanti il 24 maggio”. Inizia così la “Leggenda del Piave”, una delle canzoni patriottiche più note in Italia. La canzone fu scritta durante gli ultimi giorni della Prima Guerra Mondiale dal compositore e poeta dialettale napoletano Giovanni Ermete Gaeta e divenne famosa soprattutto negli anni successivi al conflitto.
L’autore
E. A. Mario, pseudonimo di Giovanni Ermete Gaeta, nacque a Napoli nel 1884. Paroliere e compositore italiano, fu autore di numerose canzoni di grande successo, come appunto “La canzone del Piave”. Alcuni brani furono composti in lingua italiana, altri in lingua napoletana; di essi, quasi sempre, scriveva sia i testi che la musica.
Insieme a Salvatore Di Giacomo, Ernesto Murolo e Libero Bovio, è da annoverare tra i massimi esponenti della canzone napoletana della prima metà del Novecento ed uno dei protagonisti indiscussi della canzone italiana dal primo dopoguerra agli anni cinquanta.
Poesie e canzoni patriottiche
Gaeta è stato autore di numerose poesie e canzoni dal fervente contenuto patriottico. Nel 1915, all’inizio della guerra, ottenne di prestare servizio nella posta militare e fu incaricato di trasportare la corrispondenza per il fronte. L’esperienza gli ispirò alcuni testi patriottici come la “Serenata all’imperatore” (riferita a Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria) che faceva così: «Mio caro Imperatore / primma ca muore, ‘a vide ‘a nuvità: / l’Italia trase a Trieste / ce trase e hadda restà!» (“Imperatore, prima di morire, vedire la novità: l’Italia entra a Trieste, ci entra e ci rimane”).
Nel novembre 1917, dopo lo sfondamento austriaco a Caporetto, la linea del fronte si era attestata sul fiume Piave. Nel giugno 1918 l’Austria provò a sferrare il colpo definitivo: l’offensiva iniziò il 15 giugno, ma l’esercito italiano riuscì a fermarla e il 22 giugno la “battaglia del Solstizio” era terminata con la vittoria italiana. In quei giorni Gaeta era al lavoro in un ufficio postale, e gli vennero “dal cuore”, come raccontò lui stesso, tre strofe che scrisse di getto sui moduli di servizio interno: «Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio / dei primi fanti il 24 maggio».
La genesi della poesia
La prima strofa della “Leggenda del Piave” si riferiva all’inizio della guerra, il 24 maggio 1915. La seconda alla disfatta di Caporetto: «Ma in una notte triste si parlò di tradimento / e il Piave udiva l’ira e lo sgomento». Allora si riteneva che il successo austriaco fosse stato dovuto al tradimento di un reparto italiano; nel dopoguerra si scoprì che quel reparto, in effetti, aveva resistito ma era stato distrutto, e la parola “tradimento” venne sostituita da “fosco evento”. La terza strofa, infine, si riferiva alla battaglia del Solstizio e alla vittoria italiana. Il 9 novembre 1918, cinque giorni dopo la fine della guerra, Gaeta aggiunse la quarta e ultima strofa: «Indietreggiò il nemico sino a Trieste, sino a Trento / e la vittoria sciolse le ali al vento».
“La Leggenda del Piave” di Giovanni Ermete Gaeta
Anche dopo la guerra, la “Leggenda del Piave” rimase popolarissima. Il 4 novembre 1921 venne eseguita all’inaugurazione del monumento al milite ignoto, al Vittoriano di Roma. La canzone fu considerata una sorta di inno nazionale, poiché esprimeva la rabbia e l’amarezza per la disfatta di Caporetto e l’orgoglio per la riscossa sul fronte veneto. Ecco il testo completo della “Leggenda del Piave”.
Calmo e placido, al passaggio
Dei primi fanti, il ventiquattro maggio
L’esercito marciava
Per raggiunger la frontiera
Per far contro il nemico una barriera
Tacere bisognava, e andare avanti
Sommesso e lieve il tripudiar dell’onde
Era un presagio dolce e lusinghiero
Il Piave mormorò: “Non passa lo straniero”
Si parlò di un fosco evento
E il Piave udiva l’ira e lo sgomento
Ahi, quanta gente ha vista
Venir giù, lasciare il tetto
Poiché il nemico irruppe a Caporetto
Venivan a gremir tutti i suoi ponti
Sommesso e triste il mormorio de l’onde
Come un singhiozzo, in quell’autunno nero
Il Piave mormorò: “Ritorna lo straniero”
Per l’orgoglio, per la fame
Volea sfogare tutte le sue brame
Vedeva il piano aprico
Di lassù, voleva ancora
Sfamarsi e tripudiare come allora
Mai più il nemico faccia un passo avanti
E come i fanti combattevan le onde
Rosso del sangue del nemico altero
Il Piave comandò: “Indietro va’, straniero”
Fino a Trieste, fino a Trento
E la vittoria sciolse le ali al vento
Fu sacro il patto antico
Tra le schiere, furon visti
Risorgere Oberdan, Sauro, Battisti
Le forche e l’armi dell’impiccatore
E tacque il Piave: “Si placaron le onde”
Sul patrio suolo, vinti i torvi Imperi
La Pace non trovò né oppressi, né stranieri