Una frase di Giuseppe Tomasi di Lampedusa ci rivela una purtroppo buia verità riguardo ai cambiamenti che avvengono nella società, dove, purtroppo, molte volte i nuovi dominatori non sono necessariamente migliori dei precedenti, ma si adattano alle circostanze con un’opportunistica continuità.
“Noi fummo i Gattopardi, i Leoni: chi ci sostituirà saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti, gattopardi, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra.”
La frase è tratta dalla Parte IV de Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, pubblicato postumo, grazie alla scelta di Giorgio Bassani, da Feltrinelli nel 1958.
Il Gattopardo diventa di nuovo attuale perché dal 5 marzo 2025 su Netflix andrà in onda una nuova serie Tv tratta dal romanzo Giuseppe Tomasi di Lampedusa diretta da Tom Shankland con la collaborazione di Laura Luchetti e Giuseppe Capotondi, secondo adattamento dopo il film di Luchino Visconti del 1963. Il protagonista sarà Kim Rossi Stuart.
La frase de Il Gattopardo sul mondo che non cambierà mai
La frase di Giuseppe Tomasi di Lampedusa è espressione del disincanto di Don Fabrizio, il principe di Salina, il protagonista del romanzo.
La citazione s’inserisce come senso nel profondo cambiamento sociale della Sicilia della seconda metà del 1800, nel libro la scena si svolge nel novembre del 1860.
Il Principe descrive attraverso il suo pensiero il declino della nobiltà siciliana e il sorgere di un nuovo ordine politico e sociale dopo l’unificazione italiana. Tuttavia, il pessimismo del Principe non è solo rivolto ai cambiamenti in sé, ma alla natura umana, che tende sempre a credersi fondamentale, pur restando intrappolata nelle dinamiche del potere
La frase che è in chiusura della IV parte del libro prende vita mentre Don Fabrizio accompagna alla stazione, dopo averlo avuto ospite il cavaliere Aimone Chevalley di Monterzuolo, segretario della prefettura che era arrivato a Donnafugata per coinvolgere il Principe, su un argomento che stava molto a cuore al Governo.
“Dopo la felice annessione, volevo dire dopo la fausta unione della Sicilia al Regno di Sardegna, è intenzione del governo di Torino di procedere alla nomina a Senatori del Regno di alcuni illustri siciliani; le autorità provinciali son state incaricate di redigere una lista di personalità da proporre all’esame del governo centrale ed eventualmente, poi, alla nomina regia e, come è ovvio, a Girgenti si è subito pensato al suo nome, Principe: un nome illustre per antichità, per il prestigio personale di chi lo porta, per i meriti scientifici, per l’attitudine dignitosa e liberale, anche, assunta durante i recenti avvenimenti.”
Il principe dimostra di non essere attratto dalla proposta ricevuta, seppur molto prestigiosa e mostra il proprio diniego. Ogni frase del Principe di Salina meriterebbe si essere letta, anzi lo suggeriamo, perché offre il senso del disincanto del nobile siciliano riguardo al coinvolgimento da parte della politica.
Due visioni opposte sul futuro e sul cambiamento
Tornando alla nostra frase, la mattina dopo il principe mentre accompagnava Chevalley alla stazione si trovano entrambi ad osservare lo stato di profondo abbandono del paese Entrambi sono colti da un pensiero.
“Chevalley pensava: “Questo stato di cose non durerà; la nostra amministrazione, nuova, agile, moderna cambierà tutto.”
Il pensiero del principe invece produceva un pensiero diametralmente opposto, che fa parte della stessa frase che abbiamo su riportato.
“Il Principe era depresso: “Tutto questo” pensava “non dovrebbe poter durare; però durerà, sempre; il sempre umano, beninteso, un secolo, due secoli…; e dopo sarà diverso, ma peggiore…”
Il “trasformismo” in una frase
“…Noi fummo i Gattopardi, i Leoni: chi ci sostituirà saranno gli sciacalletti, le iene”. ll principe di Salina, portavoce di un’aristocrazia colta ma decadente, contrappone la grandezza del passato, “i Gattopardi e i Leoni” alla mediocrità del presente e del futuro, “gli sciacalletti e le iene.”
Con questi simboli animali si sottolinea la differenza tra un’aristocrazia che, pur con i suoi limiti, aveva un codice d’onore, e una nuova classe dirigente spregiudicata, guidata più dall’opportunismo che da una vera capacità di governo.
Gli sciacalli e le iene evocano immagini di creature che si nutrono di ciò che è già morto, sottolineando l’idea di un potere acquisito non per merito, ma per sfruttamento del nuovo contesto sociale.
Il concetto centrale del romanzo di Tomasi di Lampedusa è il “trasformismo”, ossia il cambiamento apparente che nasconde una sostanziale continuità del potere.
La frase evidenzia come, nonostante la fine dell’aristocrazia siciliana e l’ascesa della borghesia nel nuovo Regno d’Italia, il ciclo della storia resti immutato. I potenti saranno sostituiti da altri potenti, ma nessun vero progresso avverrà.
Nessuna generazione è pronta a cambiare veramente
“E tutti quanti, gattopardi, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra.” La parte finale della frase è l’amara riflessione sul modo di agire di tutte le generazioni e dell’intero genere umano.
Indipendentemente dalla posizione sociale e dalla capacità di dominio, tutti gli uomini si illudono di essere fondamentali, unici, essenziali per il mondo.
L’espressione “il sale della terra”, di derivazione evangelica (Matteo 5,13: “Voi siete il sale della terra”), è qui usata con ironia: nonostante la corruzione, la decadenza e il trasformismo, ogni generazione continua a credersi speciale, pur reiterando gli stessi errori.
Una concezione attuale della circolarità della storia
Ancora oggi questa frase sembra essere contemporanea. Lungi dallo sposare la pessimistica concezione dì Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che purtroppo lascia alibi all’idea di un dovuto cambiamento che invece dovrebbe essere il mantra di chi desidera un mondo migliore, purtroppo il suo pensiero appare molto concreto e difficile da criticare.
Giuseppe Tomasi di Lampedusa esprime una visione circolare della storia. Il potere cambia forma, ma non sostanza. Il passato, il presente e il futuro si rincorrono in un ciclo in cui i dominatori si avvicendano, senza reali miglioramenti per la società.
Questo pessimismo storico e sociale è profondamente radicato nella cultura non solo siciliana e richiama il fatalismo tipico della letteratura meridionale (si pensi a Verga e al suo concetto di fiumana del progresso).
Il romanzo, quindi, non è solo una rappresentazione del passaggio dal Regno delle Due Sicilie all’Italia unita, ma una riflessione più ampia sulla natura della politica e del potere di tutte le epoche e parti del mondo, dove non si fa assolutamente nulla per cambiare le cose.
La frase racchiude l’intero spirito de Il Gattopardo. Un’opera che, attraverso il racconto del declino della nobiltà siciliana, diventa una riflessione universale sulla storia, il potere e l’illusione del cambiamento. È un monito sull’eterno ripetersi dei cicli storici, in cui ogni generazione si illude di essere diversa dalla precedente, pur riproducendone vizi e difetti.