Le feste di Natale rappresentano un periodo dell’anno particolare, utile per fermarsi a riflettere sulla società in cui oggi viviamo. A tal proposito, i versi di Trilussa tratti dalla poesia “Er presepio” risuonano con una forza universale e disarmante:
Ve ringrazio de core, brava gente,
pé ‘sti presepi che me preparate,
ma che li fate a fa? Si poi v’odiate,
si de st’amore non capite gnente…
Trilussa ricorda a tutti noi quanto il Natale possa far nascere il bene
Con la sua consueta ironia e semplicità, Trilussa smaschera le ipocrisie di una società che celebra i simboli dell’amore e della pace, ma spesso tradisce quegli stessi valori nella pratica quotidiana. Questi versi non si limitano a descrivere un momento natalizio; contengono una critica pungente e senza tempo, ponendo una domanda cruciale: che senso ha celebrare un ideale, se non si vive in conformità con esso?
Il presepe è, da secoli, uno dei simboli più rappresentativi del Natale. Introdotto da San Francesco d’Assisi nel 1223, esso incarna la semplicità e l’amore di una famiglia unita, attorno a cui si radunano uomini, animali e angeli in pace e armonia. Ma per Trilussa, il presepe diventa metafora di un contrasto doloroso: l’apparente devozione degli uomini verso i suoi simboli cozza contro il loro comportamento reale.
Il poeta romano interroga la “brava gente”, coloro che con cura e dedizione preparano la rappresentazione della Natività. È evidente il sarcasmo nella sua espressione: la stessa gente che cura minuziosamente i dettagli del presepe è incapace di vivere l’amore e l’unità che il presepe rappresenta. Questa contraddizione è il cuore del messaggio di Trilussa: l’esteriorità non può sostituire la sostanza dell’amore vero e autentico.
Le parole “si poi v’odiate” amplificano la portata critica del poeta. L’odio, nella sua forma più quotidiana, si manifesta in litigi, discriminazioni, pregiudizi e egoismo, che spesso trovano spazio anche in chi si professa osservante o religioso. Trilussa non punta il dito contro il presepe in sé, ma contro la vuota ritualità che non si traduce in un cambiamento interiore o in gesti concreti di compassione e generosità.
La forza di questi versi è la loro universalità: l’odio, l’egoismo e la mancanza di empatia non conoscono confini culturali o religiosi. Anche oggi, nei moderni preparativi natalizi, si può intravedere lo stesso paradosso denunciato dal poeta. Le luci, i regali, gli addobbi e i presepi, pur essendo manifestazioni di gioia, rischiano di trasformarsi in semplici simboli vuoti, lontani dal messaggio di pace e amore universale che dovrebbero incarnare.
Il verso finale, “si de st’amore non capite gnente”, è un’accusa che si trasforma in un invito a riflettere sul vero significato dell’amore. Trilussa non parla di un amore idealizzato o mistico, ma di un amore quotidiano, fatto di comprensione, tolleranza e rispetto reciproco. L’amore che il poeta evoca è un’azione concreta, una responsabilità collettiva che non può essere limitata a gesti simbolici o dichiarazioni formali.
Questo amore è l’essenza del messaggio della Natività: l’idea di una solidarietà che trascende le differenze e si fonda sulla condivisione. Eppure, sembra sfuggire alla “brava gente” che, pur impegnandosi nella rappresentazione scenica del presepe, dimentica di incarnarne i valori nella vita reale.
Un messaggio senza tempo
I versi di Trilussa risultano estremamente attuali anche in un mondo che ha subito enormi cambiamenti sociali e culturali rispetto al suo tempo. L’ipocrisia che il poeta denuncia non si limita alla religione, ma tocca ogni aspetto della società in cui esistono discrepanze tra i valori dichiarati e le azioni praticate.
Il suo messaggio può essere visto come un richiamo alla coerenza. Non si tratta solo di celebrare il Natale o di preparare il presepe, ma di vivere ogni giorno in modo coerente con i valori di amore, comprensione e solidarietà. Se così non fosse, i rituali perdono il loro significato e diventano semplici rappresentazioni estetiche, incapaci di produrre un vero cambiamento.
Con Er presepio, Trilussa ci offre una riflessione acuta e ancora estremamente rilevante. Attraverso una forma apparentemente leggera e colloquiale, il poeta ci invita a interrogare il significato profondo delle nostre azioni e dei nostri simboli. La bellezza e l’importanza del presepe non risiedono tanto nella perfezione della sua realizzazione, quanto nella capacità di chi lo prepara di tradurre il suo messaggio in amore reale e tangibile.
In definitiva, Trilussa ci ricorda che il vero spirito del Natale non si trova nei gesti esteriori, ma nel modo in cui viviamo e ci relazioniamo con gli altri, ogni giorno dell’anno. E il suo monito, se preso sul serio, può aiutarci a essere non solo “brava gente”, ma esseri umani migliori.