La citazione di Robert Louis Stevenson, è una riflessione di straordinaria delicatezza e profondità psicologica. Lo scrittore scozzese, noto per opere come Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde e L’isola del tesoro, riesce in poche parole a esprimere una verità universale: la fragilità dell’esistenza, la precarietà della serenità umana e la sottile malinconia che accompagna la vita anche nei suoi momenti più tranquilli.
“Perfino la calma della vita quotidiana è fragile come il vetro: una specie di tremito anima tutte le cose, viviamo in un universo di una segreta amarezza”
Dietro la calma apparente del quotidiano, dice Stevenson, si nasconde un tremito, un’inquietudine sottile che percorre ogni cosa. L’immagine del vetro, fragile e trasparente, è perfetta per rappresentare questa condizione: la nostra serenità è come una lastra limpida, che lascia passare la luce ma che può spezzarsi al minimo urto. La vita, anche quando sembra stabile, è sempre sul punto di incrinarsi; basta un imprevisto, un’assenza, una parola per rivelare l’inquietudine che scorre sotto la superficie.
La calma per Robert Louis Stevenson
Robert Louis Stevenson ci invita a guardare con attenzione ciò che chiamiamo “calma”. Spesso pensiamo che la tranquillità quotidiana sia un traguardo, una conquista stabile: la routine, le abitudini, gli affetti familiari sembrano offrirci un riparo contro il caos del mondo. Eppure, egli ci avverte che questa calma è solo apparente, un fragile equilibrio che può rompersi da un momento all’altro. Non si tratta di pessimismo, ma di consapevolezza: anche nei giorni più sereni c’è un sottofondo di inquietudine, un battito segreto che ci ricorda quanto tutto sia provvisorio.
La fragilità della calma non è una condizione patologica, ma una caratteristica intrinseca della vita. Ogni cosa è soggetta al mutamento, ogni emozione è destinata a dissolversi. Stevenson, con la sensibilità del narratore che conosce i limiti dell’animo umano, riconosce in questo tremore continuo non solo una fonte di angoscia, ma anche la prova della vitalità del mondo. Nulla è fermo perché tutto vive, tutto respira.
Il tremito dell’esistenza
L’espressione “una specie di tremito anima tutte le cose” è una delle più poetiche e sottili dell’intera citazione. Il “tremito” non è soltanto paura o instabilità: è il segno stesso della vita. Tutto ciò che è vivo vibra, si muove, muta. Anche la calma non è mai totale: sotto la superficie di ogni momento si nasconde un moto, un respiro, una tensione invisibile. In questa prospettiva, Stevenson coglie una verità che la filosofia e la poesia hanno spesso riconosciuto: la vita non è mai quiete perfetta, ma movimento e precarietà.
Pensiamo, ad esempio, al celebre concetto eracliteo del panta rei – tutto scorre. Stevenson sembra tradurlo in un’immagine quotidiana e moderna: non un fiume che scorre, ma un tremito che anima ogni cosa. È una visione che anticipa quella sensibilità moderna per cui la realtà non è un blocco stabile, ma un sistema di vibrazioni sottili, di equilibri che si rinnovano continuamente.
La segreta amarezza
La parte finale della citazione introduce un elemento decisivo: “viviamo in un universo di una segreta amarezza”. Questa frase rivela la dimensione esistenziale e morale del pensiero di Stevenson. Il mondo, anche quando appare bello e armonioso, custodisce in sé una traccia di dolore, un sapore amarognolo che accompagna ogni gioia. È la consapevolezza della finitudine, della perdita, del tempo che scorre inesorabile.
L’amarezza di cui parla Stevenson non è quella della disperazione, ma quella della lucidità. È il sentimento che nasce quando si riconosce che nulla è eterno, che ogni felicità è fragile e ogni equilibrio destinato a rompersi. Tuttavia, questa “segreta amarezza” non distrugge la bellezza del vivere, anzi, la rende più vera. Solo ciò che può perdersi è davvero prezioso; solo ciò che è fragile può commuovere.
In questa prospettiva, la vita appare come un paradosso: la nostra felicità dipende da qualcosa di fragile, eppure non possiamo rinunciare a cercarla. È forse questo il senso più profondo della riflessione di Stevenson: accettare la precarietà come condizione dell’esistenza, vivere sapendo che la calma è fragile, ma senza per questo smettere di cercarla.
Il vetro come simbolo
L’immagine del vetro, che apre la citazione, è centrale. Il vetro è trasparente ma duro, lucente ma vulnerabile. Permette di vedere il mondo, ma non di toccarlo senza rischio. Così è la calma quotidiana: ci dà l’illusione della stabilità, ma in realtà è una barriera sottile tra noi e il caos. Quando si incrina, non si può più ricomporre senza lasciare tracce.
Stevenson, come molti scrittori del tardo Ottocento, avverte la fragilità della modernità. È un’epoca in cui la fiducia nel progresso convive con il senso della perdita, la velocità con la malinconia. La calma borghese del vivere quotidiano, che sembra ordinata e serena, nasconde spesso tensioni, paure, desideri repressi. Non a caso, nella sua opera più celebre, Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, Stevenson mostra come sotto la superficie rispettabile della vita si celi un mondo oscuro e inquieto. La citazione sembra un’eco di questa visione: la calma non è mai pura, porta in sé un germe di inquietudine.
La frase di Robert Louis Stevenson ci invita a guardare oltre le apparenze della serenità. La calma quotidiana, dice lo scrittore, è fragile come il vetro perché la vita è un movimento costante, una vibrazione sottile, una trama di gioie e di dolori intrecciati. E in questa oscillazione tra pace e turbamento, tra chiarezza e amarezza, risiede la verità dell’esistenza.
Viviamo davvero, ci suggerisce Stevenson, solo quando accettiamo questo tremito che anima le cose. Solo quando riconosciamo che la calma perfetta non esiste, ma che è proprio nella sua fragilità che la vita trova il suo senso più profondo. Dietro ogni vetro che rischia di rompersi si riflette, in fondo, la bellezza effimera del nostro essere al mondo.