Una frase di Ray Bradbury sui poveri tempi contemporanei

4 Giugno 2025

Leggiamo assieme questa citazione tristemente veritiera e, ahinoi, profetica, di Ray Bradbury contenuta nel suo capolavoro "Fahrenheit 451".

Una frase di Ray Bradbury sui poveri tempi contemporanei

La citazione di Ray Bradbury (22 agosto 1920 – 5 giugno 2012) tratta da Fahrenheit 451 rappresenta un passaggio di feroce satira sociale, che condensa in poche righe l’inquietudine dell’autore per una società deumanizzata, consumistica e priva di responsabilità. Questo brano, che colpisce per la crudezza dell’immagine e la sua potenza metaforica, racchiude un’intera visione del mondo: un mondo in cui le persone sono trattate come oggetti usa e getta, relazioni superficiali sostituiscono la profondità umana, e il prossimo è visto non come essere umano, ma come mezzo per soddisfare un bisogno passeggero, da eliminare subito dopo.

“Insomma, il fatto è che questa è l’epoca della carta igienica. Ti soffi il naso su una persona, la appallottoli, la getti via, tiri la catena e lo sciacquone se la porta via, allunghi la mano per un’altra persona, ti soffi, l’appallottoli, tiri la catena. Tutti si soffiano nella giubba del vicino”

L’uomo come oggetto usa e getta nella citazione di Ray Bradbury

Il cuore della metafora è l’equiparazione dell’essere umano a un fazzoletto di carta: una cosa che si usa, sporca, getta e dimentica. Questo processo di disumanizzazione non è un fenomeno limitato alla distopia immaginata da Bradbury, ma è una preoccupazione che tocca profondamente il nostro tempo. Nell’epoca dell’iperconnessione, dei social network, del consumo accelerato di contenuti e di emozioni, le relazioni sembrano spesso piegate alla logica dell’usa e getta: ci si avvicina, si consuma il contatto (emotivo, fisico, sociale), poi si scarta.

Bradbury scrive Fahrenheit 451 nel 1953, ma la sua visione resta profetica. Quella “epoca della carta igienica” è oggi, ancor più di ieri. Le amicizie e gli amori possono durare il tempo di una “storia” su Instagram, una conversazione in chat, una notte. I legami si fanno liquidi, per usare la celebre espressione del sociologo Zygmunt Bauman, e in questa liquidità il rispetto per l’altro vacilla, fino a evaporare del tutto.

La mancanza di empatia

“Ti soffi il naso su una persona, la appallottoli, la getti via…”: Bradbury descrive un gesto osceno che diventa abituale. È il segno di una società che ha perso il senso dell’alterità, dell’inviolabilità dell’altro. Soffiarsi il naso su qualcuno è l’atto massimo di mancanza di rispetto, ma nella metafora bradburiana è quotidiano, reiterato, automatico. Questo ci dice quanto si sia smarrito ogni residuo di empatia, di riconoscimento dell’umanità dell’altro. Le persone non contano, sono strumenti per soddisfare bisogni, funzioni impersonali di un meccanismo alienante.

Il riferimento allo “sciacquone che se la porta via” aggiunge una dimensione ulteriore: quella dell’oblio. Non solo si utilizza e si getta via, ma si dimentica. L’uso del prossimo non lascia tracce, non comporta senso di colpa, né responsabilità. È tutto lavato via, ripulito, sterilizzato — proprio come la società descritta da Bradbury, dove i libri sono bruciati, il pensiero critico è soppresso e la coscienza individuale è sostituita dalla passività collettiva.

Il conformismo e la massa

“Ti soffi nella giubba del vicino”: questo dettaglio finale della citazione ci introduce alla dimensione collettiva del problema. Non si tratta solo di relazioni individuali degradate, ma di un’intera cultura fondata sulla sopraffazione implicita, sulla mancanza di rispetto generalizzata. Il vicino è parte del problema, e la società intera partecipa al medesimo rito degradante. È il conformismo che Bradbury denuncia, quella tendenza umana ad accettare comportamenti disumani perché condivisi da tutti. Quando l’intera società accetta di trattare gli altri come oggetti, la deumanizzazione diventa norma, e chi si oppone è visto come deviato, strano, sovversivo.

Tecnologia e alienazione

In Fahrenheit 451, la tecnologia ha un ruolo centrale nella creazione di questa società appiattita. Le “pareti parlanti”, le cuffie che isolano dal mondo reale, l’informazione ridotta a slogan e intrattenimento contribuiscono alla distruzione della profondità umana. In questo contesto, le persone non dialogano più davvero. Non si conoscono, non si riconoscono. Il tempo per l’altro è sostituito dalla ricerca di stimoli veloci, fugaci, privi di sostanza.

Nel mondo reale, lo smartphone ha assunto molte delle funzioni descritte da Bradbury. Se da un lato ci connette a milioni di persone, dall’altro ci isola, ci distrugge l’attenzione, ci porta a saltare da un contenuto all’altro senza mai soffermarci. Anche nella vita affettiva, l’algoritmo decide chi incontriamo, mentre la comunicazione si riduce a battute, emoji, video brevi e reazioni.

La lezione di Bradbury, dunque, è più viva che mai. Dietro l’iperbole disturbante della carta igienica applicata alle persone, si nasconde un monito: non possiamo costruire una civiltà su relazioni di consumo e scarto. Il rispetto, l’empatia, la responsabilità verso l’altro sono il fondamento stesso dell’essere umano. Senza di essi, restiamo soli in mezzo a milioni di contatti, informati ma vuoti, “liberi” ma sottomessi a un sistema che ci rende spettatori, non più partecipi.

In un’epoca dove la rapidità è più premiata della profondità, la citazione di Bradbury ci obbliga a fermarci e a guardare negli occhi il prossimo, prima che sia “appallottolato e gettato via”. È un invito a riscoprire l’umanità come relazione, non come uso. E soprattutto, è un grido d’allarme perché, come recita un altro passo del romanzo: “Non sono i libri a essere importanti, ma quello che ci dicono. E ci dicono questo: che noi siamo vivi e pensanti.”

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