Questi versi, che concludono la poesia Persecuzione di Pier Paolo Pasolini, sono tra le immagini più potenti e struggenti della sua produzione poetica. Scritta in un tono lirico e insieme tragico, Persecuzione è una delle tante poesie in cui l’autore emiliano affronta il tema dell’amore, del desiderio, dell’identità, della marginalità e, soprattutto, della bellezza come esperienza ambivalente. I versi finali condensano in poche righe una tensione che attraversa l’intera opera pasoliniana: quella tra l’estasi e il dolore, tra la redenzione e la condanna, tra la vergogna e lo splendore.
tutta l’estate nella maglietta grama,
ah vergogna e splendore, vergogna e splendore!
Mille nubi di pace accerchiano il ciclo, amore, mai non finirai d’essere amore.
Un’idea di amore nei versi di Pier Paolo Pasolini
L’espressione “tutta l’estate nella maglietta grama” apre un’immagine visiva e tattile carica di sensazioni. La “maglietta grama”, cioè povera, sottile, usurata, richiama un corpo giovane, forse proletario, forse marginale, vestito con poco, lasciando trasparire la pelle, la carne, il sudore dell’estate. Non si tratta soltanto di una descrizione: è un’immagine sensuale e affettiva che racchiude un’intera stagione di desiderio, memoria e struggimento. Pasolini, come spesso accade nella sua poesia, sublima l’erotismo in poesia civile e spirituale.
L’estate è da sempre nella letteratura la stagione del desiderio, della vita che esplode, della luce che brucia. Ma in questa “maglietta grama” c’è qualcosa di più: la tenerezza per una figura minuta, vulnerabile, e insieme la fissazione quasi mistica del corpo, che diventa icona e reliquia. È un corpo amato e, al tempo stesso, un corpo che condanna l’autore alla consapevolezza della distanza, della diversità, della colpa.
Il cuore di questi versi sta nel grido ripetuto: “ah vergogna e splendore, vergogna e splendore!” La ripetizione enfatica del binomio ossimorico “vergogna e splendore” è una delle chiavi più intime dell’intero universo poetico di Pasolini. L’amore, il desiderio, l’attrazione per il diverso – spesso per il giovane sottoproletariato urbano – sono per lui insieme fonte di elevazione e di dolore. La vergogna è quella che la società impone a chi desidera in modo difforme, a chi ama oltre i limiti del “consentito”. Ma lo splendore è altrettanto potente: è la luce della bellezza, della purezza dell’istinto, della sincerità senza maschere.
Pasolini non tenta mai di sciogliere questa contraddizione, anzi la canta, la espone con radicalità. L’amore non si salva dalla vergogna, ma la attraversa. E la vergogna non riesce a spegnere lo splendore. In questo senso, la poesia è l’unico spazio dove i due poli possono coesistere, dove la contraddizione non è scandalo, ma rivelazione.
Le nubi di pace: la trascendenza dell’amore
Negli ultimi due versi, l’atmosfera si apre. Dal dettaglio sensoriale della maglietta estiva e dal conflitto interiore di vergogna e splendore, si passa al cielo: “Mille nubi di pace accerchiano il ciclo”. Qui, “ciclo” non è un errore di trascrizione ma un arcaico e poetico sinonimo di cielo. Le nubi di pace non sono semplicemente nubi meteorologiche: sono immagini spirituali, quasi angeliche. La tensione erotica si trasforma in visione, la sofferenza diventa apertura alla bellezza del cosmo, alla possibilità che il dolore sia redento, che l’amore, pur condannato sulla terra, trovi uno spazio in un altro ordine, forse divino.
Questa visione non è pacificata, ma resta sospesa in una tensione. L’amore, infatti, non viene risolto, non si conclude con la redenzione o con l’estinzione del desiderio. Al contrario, Pasolini afferma con forza: “amore, mai non finirai d’essere amore.” La doppia negazione (“mai non finirai”) rafforza l’eternità del sentimento. L’amore è eterno non perché si compie, ma perché rimane incompiuto, sempre rinnovato nel suo farsi e disfarsi. È un destino, una condizione, un’identità.
In questo finale, Pasolini ci consegna una verità non solo poetica, ma esistenziale: l’amore, per quanto doloroso, impuro, condannato, è eterno. Non perché non cambia, ma perché resiste. Perché nonostante la vergogna, il rifiuto, l’abbandono, esso continua ad esistere. È questa la “persecuzione” del titolo: essere perseguitati non da un nemico esterno, ma dall’amore stesso, che non smette di bruciare, di riemergere, di inseguire chi scrive e chi vive.
Questi versi, dunque, non sono un epilogo, ma un’apertura. Il cielo non è chiuso, è “accerchiato” da nubi che parlano di pace. Il dolore è presente, ma il canto non si spegne. L’amore non si esaurisce, ma si rinnova come una stagione, come l’estate nella maglietta grama.
Nei versi finali di Persecuzione, Pier Paolo Pasolini tocca uno dei vertici della sua lirica, fondendo in pochi versi corpo e cielo, desiderio e spiritualità, vergogna e splendore. L’amore, nella sua visione, è una forza inarrestabile e tragica, ma anche redentrice. È ciò che perseguita, ma anche ciò che salva. È una fiamma che non si spegne, un cielo sempre minacciato e sempre pieno di pace. E la poesia diventa l’unico luogo dove tutto questo può essere detto, senza giudizio, ma con struggente verità.