I versi di Paul Verlaine sul mattino come nuovo inizio

6 Novembre 2025

Leggiamo assieme questi versi del poeta Paul Verlaine tratti dalla prima strofa della poesia "La buona canzone", sul mattino metafora dell'inizio.

I versi di Paul Verlaine sul mattino come nuovo inizio

Paul Verlaine, nella poesia La bonne chanson (“La buona canzone”), di cui questi versi fanno parte, costruisce un piccolo miracolo di luce e silenzio.

«Il dolce sole del mattino intiepidisce e indora
la segale e le messi ancora tutte umide
e l’azzurro mantiene la freschezza notturna.
Si esce soltanto per uscire: si segue,
lungo il fiume dalle vaghe erbe gialle,
un erboso sentiero costeggiato da vecchi ontani.
L’aria è pungente. A tratti vola un uccello,
nel becco qualche frutto di siepe o una pagliuzza,
e il suo riflesso nell’acqua sopravvive al passaggio.
È tutto.»

La semplicità apparente di questi versi cela una finezza musicale e una profondità percettiva che sono tratti distintivi della poetica di Verlaine. Qui non accade nulla di eclatante: non ci sono drammi, né eventi. Eppure, in questa immobilità, il mondo si rivela nella sua pienezza. La poesia è un esercizio di attenzione, un atto di presenza davanti alla natura e alla vita, che si manifesta nel suo stato più puro e fragile.

La delicatezza dell’alba: il tempo sospeso di Paul Verlaine

L’immagine iniziale — “Il dolce sole del mattino intiepidisce e indora la segale e le messi ancora tutte umide” — ci introduce in un’ora di passaggio, quel momento in cui la notte si dissolve ma non è ancora giorno pieno. È un’ora fragile, in cui la luce non domina, ma accarezza. Il sole “intiepidisce e indora”: due verbi che esprimono dolcezza e continuità, un calore che non invade ma accompagna la vita silenziosa dei campi.

Le “messi ancora tutte umide” mantengono il ricordo della notte, e l’azzurro del cielo “mantiene la freschezza notturna”: il giorno nasce ma non ha ancora dissolto del tutto la memoria del buio. Verlaine è maestro nel cogliere questi stati intermedi, dove la natura vive in una sospensione tra due tempi. La poesia diventa così un luogo di transizione, dove nulla è compiuto, ma tutto è in divenire.

L’azione minima e la contemplazione

Si esce soltanto per uscire”: questa frase racchiude l’essenza della poesia verlainiana. Non si esce per uno scopo, per un fine pratico, ma per il semplice gusto di esserci, di respirare, di partecipare alla vita che scorre. È la forma più pura della libertà e della contemplazione. In un mondo moderno dominato dall’efficienza, questa frase appare come una lezione poetica e morale: il valore dell’esperienza non sta nel suo risultato, ma nella sua intensità.

L’uomo che cammina lungo “il fiume dalle vaghe erbe gialle” segue un “erboso sentiero costeggiato da vecchi ontani”. Il paesaggio è umile, ma denso di armonia: l’acqua, le erbe, gli alberi — elementi ricorrenti nella poesia di Verlaine — formano un ritmo visivo che accompagna il passo. La parola “vaghe” introduce una sfumatura di indeterminatezza: non tutto è nitido, perché l’impressione prevale sulla descrizione. Qui risuona la lezione dell’Impressionismo, di cui Verlaine è l’equivalente poetico: ciò che conta non è la precisione dell’immagine, ma il suo effetto emotivo, il colore che lascia nell’anima.

Il volo dell’uccello: la vita effimera e il riflesso

Poi accade un piccolo miracolo: “A tratti vola un uccello, nel becco qualche frutto di siepe o una pagliuzza, e il suo riflesso nell’acqua sopravvive al passaggio.”
In questi pochi versi, Verlaine racchiude un’intera filosofia dell’esistenza. L’uccello, creatura lieve e inquieta, attraversa il paesaggio come un lampo di vita. Ma ciò che resta non è tanto il suo volo, quanto il riflesso che sopravvive: un’immagine di memoria, di durata nell’effimero. Il riflesso è una metafora perfetta della poesia stessa: la parola poetica non cattura la realtà, ma la riflette, le dà una seconda vita, destinata a svanire ma non a sparire del tutto.

L’uccello, portando con sé “qualche frutto di siepe o una pagliuzza”, compie un gesto naturale e necessario, ma nella lente del poeta diventa un simbolo: la vita che costruisce, che continua, mentre tutto intorno tace. E il suo riflesso, che “sopravvive al passaggio”, è la traccia che ogni vita lascia dietro di sé, un’eco di bellezza destinata a dissolversi lentamente nell’acqua del tempo.

“È tutto”: la pienezza

La poesia si chiude con due parole disarmanti: “È tutto.”
Non c’è morale, non c’è rivelazione. Ma in questa semplicità si cela la più alta forma di compiutezza. Verlaine non cerca il sublime, ma lo trova nel quotidiano. La sua è una poetica dell’essenziale, dove il mondo non ha bisogno di essere spiegato: basta esserci, basta guardarlo. “È tutto” non è una rinuncia, ma una dichiarazione di pienezza.

L’arte di Paul Verlaine è quella di restituire la musicalità dell’esistenza, dove ogni gesto — un passo, un respiro, un volo d’uccello — trova la propria misura nell’armonia naturale. L’uomo non è più centro e dominatore, ma semplice presenza nel paesaggio.

In questi versi, la poesia diventa un esercizio di attenzione e silenzio, una forma di meditazione che anticipa, per certi aspetti, la sensibilità del Novecento. La natura di Verlaine non è quella romantica, drammatica o titanica: è una natura intima, attraversata da luce e respiro, dove il tempo si dilata fino a coincidere con l’eternità dell’istante.

È tutto”, dice Paul Verlaine, ma in quel “tutto” si nasconde un universo: la calma del mattino, la dolcezza del sole, il volo di un uccello, e la consapevolezza che, a volte, non serve nient’altro per sentirsi parte del mondo.

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