Nelle prime due strofe della poesia Walking Around, Pablo Neruda esprime uno dei sentimenti più crudi e disarmanti dell’esperienza umana: la stanchezza di essere uomo. Il poeta cileno, celebre per la sua capacità di trasfigurare il quotidiano in materia lirica e profonda, in questa composizione abbandona il tono celebrativo e amoroso per scendere nel territorio spinoso del disgusto e dell’alienazione. “Succede che mi stanco d’essere uomo” — la frase è una frattura che spalanca l’accesso a una dimensione in cui l’esistenza appare come peso, come materia inerte, come vita meccanica priva di senso.
Succede che mi stanco d’esser uomo.
Succede che entro nelle sartorie e nei cinema
appassito, impenetrabile, come un cigno di feltro
che naviga in un’acqua di origine e cenere.L’odore dei negozi da parrucchiere mi fa piangere urlando.
Voglio solo un riposo di pietre o di lana,
voglio solo non vedere più fabbriche né giardini,
né mercanzie, né occhiali, né ascensori.
Succede che mi stanco dei miei piedi e delle mie unghie
dei miei capelli e della mia ombra.
Succede che mi stanco d’essere uomo.
Pablo Neuda: “Succede che mi stanco d’essere uomo”
La poesia fu pubblicata nel 1935 nella raccolta Residencia en la Tierra, che rappresenta una svolta espressiva per Pablo Neruda. Qui il poeta abbandona la trasparenza delle emozioni più “alte” e si addentra in un universo oscuro, angosciante, frammentario. Non più la parola come canto, ma come denuncia, disarticolazione, rovina. I versi iniziali di Walking Around sono un manifesto di questa svolta: “Succede che mi stanco d’esser uomo” — è una confessione nuda, quasi brutale, che rompe ogni patto con la retorica e mette in scena un io che si scopre fragile, affaticato, stanco della propria stessa corporeità.
Il corpo come fardello
La poesia si apre dunque con una dichiarazione che ha il tono di un’epifania negativa. Non c’è una causa precisa, ma un accadere: “succede che…” — come se questa stanchezza non fosse il risultato di un evento, bensì qualcosa di ciclico, inevitabile, strutturale. La fatica dell’essere uomo è collegata all’esperienza del corpo, dei luoghi quotidiani, degli oggetti banali: “le sartorie e i cinema”, “l’odore dei negozi da parrucchiere”, “le fabbriche, i giardini, le mercanzie, gli occhiali, gli ascensori”. La realtà moderna è rappresentata come un insieme di stimoli sensoriali che non generano meraviglia o piacere, ma saturazione, disgusto, repulsione.
L’immagine del “cigno di feltro che naviga in un’acqua di origine e cenere” è emblematica. Il cigno, animale simbolo di grazia e leggerezza, è qui trasformato in un simulacro, un oggetto artificiale, pesante, inutile. Naviga in un’acqua sporca, senza vita, una sostanza grigia e mortifera. È l’alienazione dell’uomo moderno, ridotto a figura inerte in un mondo spogliato di poesia. Questo cigno di feltro è il poeta stesso, che attraversa la città e la vita senza più provare adesione, senza più riconoscersi nelle cose che lo circondano.
La città come spazio dell’estraneità nei versi di Pablo Neruda
La modernità urbana è lo sfondo implicito e insieme protagonista di questa poesia. Sartorie, cinema, negozi, fabbriche, ascensori: sono tutti luoghi del vivere contemporaneo che dovrebbero rappresentare il progresso, la comodità, l’evoluzione della civiltà. Ma nel mondo di Walking Around essi diventano il teatro dell’oppressione e dell’alienazione. L’uomo non è più artefice, ma vittima della città. La metropoli che dovrebbe renderlo libero, lo inghiotte in una rete di oggetti, odori e funzioni che lo svuotano della sua umanità.
Pablo Neruda sembra suggerire che l’essere umano ha perso il legame originario con la natura e con se stesso. Per questo afferma: “voglio solo un riposo di pietre o di lana”. Le pietre e la lana sono elementi grezzi, semplici, non sofisticati. Rappresentano il bisogno di silenzio, di contatto con la materia primitiva, di disconnessione dalla rete artificiale in cui si è incastrato. Non si chiede il paradiso, ma un rifugio elementare, spoglio, che permetta di tornare a sentire, a respirare, a essere.
La stanchezza come condizione metafisica
Quando Pablo Neruda ripete: “Succede che mi stanco dei miei piedi e delle mie unghie, dei miei capelli e della mia ombra”, non sta semplicemente manifestando un disagio psicologico. Sta descrivendo una condizione metafisica: la fatica di esistere, la pesantezza dell’identità incarnata. Non è solo il mondo esterno a risultare insopportabile, ma anche il corpo stesso, l’identità biologica, la presenza. Persino l’ombra, che è l’estensione più intima e ineluttabile del sé, diventa insopportabile.
Questa stanchezza radicale non è però disperazione pura. In essa si può leggere anche una volontà di resistenza. Dire “mi stanco” è diverso da dire “mi arrendo”. C’è una consapevolezza critica, un desiderio di interrompere il flusso, di sottrarsi alla macchina del quotidiano, alla logica della produzione e del consumo. È una poesia che denuncia, ma anche che si ribella — e nel farlo cerca una verità più profonda dell’essere umano, sottratta alla logica dell’efficienza e dell’apparenza.
A quasi un secolo dalla sua composizione, Walking Around conserva un’attualità bruciante. La stanchezza di essere uomo oggi risuona nelle vite stressate, nella solitudine mascherata da iperconnessione, nella saturazione di immagini, stimoli, impegni, merci. Pablo Neruda ci mostra che questa stanchezza può diventare parola, che il malessere può trovare forma e dunque possibilità di condivisione. Non è una poesia che consola, ma una poesia che ci ricorda che la fatica di essere umani è comune, e forse proprio in questa consapevolezza può nascere una forma di resistenza.
Così, in quel “succede che mi stanco d’esser uomo” si annida anche una forma di umanità più profonda: quella che sa riconoscere il proprio limite, il proprio dolore, e che proprio per questo è capace di risvegliarsi.