La poesia di Nazim Hikmet (15 gennaio 1902 – 3 giugno 1963), una delle voci più appassionate del Novecento, offre spesso uno sguardo profondo e universale sul senso della vita e sulle relazioni umane. I versi tratti dalla poesia esprimono la capacità dell’uomo di adattarsi al mondo, ma al contempo sottendono un senso di distacco e transitorietà che accompagna la condizione umana.
L’abitudine e l’effimero nei versi di Nazim Hikmet
Nei primi versi, Hikmet ci porta dentro un’esperienza di adattamento alla vita e agli elementi naturali. “Io m’abituo, mia rosa”, ripetuto due volte, crea un senso di quieta accettazione, come se il poeta stesse dichiarando una rassegnazione dolce, non imposta ma consapevole. Questa abitudine non è mera passività, ma piuttosto una forma di armonizzazione con l’esistente: il mare, la sabbia, il sole, le mele e le stelle rappresentano frammenti del cosmo che diventano parte integrante della sua identità e del suo vissuto.
L’abitudine, in questo contesto, non è statica né meccanica. È un processo attivo e continuo, una sorta di allenamento emotivo che ci permette di radicarci nel presente. Tuttavia, l’atto stesso di “abituarsi” contiene in sé il seme dell’effimero: se ci si abitua a qualcosa, è implicito che, un giorno, se ne potrebbe fare a meno o che si potrebbe lasciar andare.
La rosa, a cui Hikmet si rivolge direttamente, funge da simbolo denso di significato. Tradizionalmente associata all’amore, alla bellezza e alla vulnerabilità, essa rappresenta l’altro, la presenza cara a cui il poeta si sente legato. Con questa dedica affettuosa, il poeta rende chiaro che il suo processo di adattamento, benché universale, ha un centro emotivo specifico: un rapporto d’amore o di amicizia che dà forma e senso al resto della sua esperienza.
Il mare, la sabbia, il sole, le mele e le stelle costituiscono un catalogo di immagini universali e archetipiche che Hikmet intreccia per creare una visione del mondo. Ognuno di questi elementi rappresenta una dimensione della vita:
Il mare è il simbolo del movimento perpetuo, della vita che si rigenera continuamente. La sabbia, apparentemente immobile ma costantemente rimodellata dal vento e dall’acqua, allude alla mutevolezza e alla fragilità delle cose. Il sole evoca la forza vitale e la costanza necessaria per alimentare la vita. Le mele richiamano il piacere sensoriale, il nutrimento e la terra, le radici della nostra esistenza. Le stelle sono il richiamo all’infinito, alla spiritualità, a ciò che si trova oltre i confini terreni.
In questi elementi Hikmet fonde due realtà opposte ma complementari: il tempo ciclico della natura, che perpetua le sue forme, e il tempo lineare degli esseri umani, intrappolati nella mortalità.
“È tempo di andare”: la consapevolezza del distacco
Quando Hikmet scrive “È tempo di andare”, introduce un senso di fine inevitabile. La quiete delle abitudini e la familiarità con il mondo si rivelano, a questo punto, preludio al distacco. Nonostante l’apparente armonia tra l’uomo e l’universo, il poeta riconosce l’ineluttabilità del movimento verso una fine personale: il suo viaggio lo conduce altrove, in un luogo dove i legami con la terra si dissolvono.
Eppure, il verso successivo aggiunge un’ulteriore complessità alla lettura: “mischiato / al sole alla sabbia alle mele alle stelle al mare”. Questo “andare” non è un atto di separazione assoluta, ma una trasformazione. Il soggetto poetico si immagina fondersi con gli elementi del mondo, come a dire che, una volta giunto alla fine, non scompare ma ritorna a far parte del cosmo.
La chiusura della poesia è un atto di accettazione universale: il poeta smette di resistere al flusso della vita e della morte, scegliendo invece di divenire parte del tutto. La fusione con il mare, il sole, la sabbia, le stelle e le mele rappresenta non una perdita, ma un ritorno alla fonte originaria da cui tutto ha avuto origine. È un concetto profondamente influenzato dalla filosofia orientale, in cui l’individualità è percepita come un momento transitorio in un processo cosmico più ampio.
Questi versi di Hikmet ci insegnano una lezione essenziale: la vita è un ciclo continuo di abitudine e distacco, di radicamento e di trasformazione. Nell’ottica del poeta, il senso della vita non risiede nella lotta contro il tempo, ma nell’accettare il nostro ruolo temporaneo nel grande disegno dell’esistenza.
Attraverso una serie di immagini semplici ma evocative, Hikmet ci invita a trovare pace nell’adattamento e a non temere il momento in cui sarà tempo di andare, perché ogni separazione è in realtà un ricongiungimento con l’eterno. In questo senso, la poesia di Hikmet diventa non solo celebrazione del vivere, ma anche preparazione al lasciar andare, in un processo in cui il dolore della perdita è bilanciato dalla bellezza dell’eternità.