I versi di Marina Cvetaeva tratti dal ciclo poetico Versi per la figlia rappresentano uno dei più intensi e struggenti ritratti del legame tra madre e figlia nella letteratura. La poetessa russa, con la sua straordinaria capacità di mescolare emozioni intime e riflessioni universali, ci offre uno spaccato della relazione tra due anime profondamente connesse, ma al tempo stesso immerse in una condizione di precarietà e spaesamento. Questo dialogo poetico riflette sulla condivisione di una vita segnata da incertezze, ma anche su un’affinità che trascende il tempo e lo spazio.
Non so dove sei tue dove sono io.
Le stesse canzoni e gli stessi affanni.
Così amiche noi due!
così orfane tutt’e due!
E stiamo così bene insieme noi due –
senza casa, senza sonno e grezze…
Due uccelli: appena alzate – cantiamo,
due pellegrine: il mondo ci nutre.
Un legame tra orfane e pellegrine, l’amore immenso di Marina Cvetaeva
La Cvetaeva definisce madre e figlia come “orfane” e “pellegrine”, due figure che evocano una condizione di smarrimento e vagabondaggio. Essere orfani non implica solo l’assenza di genitori, ma anche una profonda mancanza di radici, un’esistenza vissuta senza un senso di appartenenza stabile. Questa condizione le unisce in un’intimità particolare: due solitudini che si incontrano e si sostengono, trovando l’una nell’altra una casa temporanea.
La parola “pellegrine”, d’altra parte, suggerisce un viaggio continuo, una ricerca di significato e di nutrimento spirituale. È una metafora della loro vita: senza casa e senza sonno, vagano nel mondo trovando rifugio nelle piccole cose, come il canto del mattino o il nutrimento che il mondo offre loro. Questo richiamo all’essenzialità della vita sottolinea come, nonostante l’assenza di una stabilità materiale, madre e figlia riescano a trovare una forma di pienezza e conforto nella loro unione.
L’immagine dei “due uccelli” che cantano appena svegli aggiunge una nota di leggerezza e speranza ai versi. Gli uccelli, simbolo di libertà e fragilità, incarnano la capacità di trasformare anche le difficoltà in qualcosa di positivo, come il canto. Marina Cvetaeva, che visse una vita segnata da tragedie personali e politiche, riconosce nel canto un atto di resistenza e di celebrazione dell’esistenza, anche nelle sue forme più semplici e precarie.
Il canto qui non è solo un’espressione artistica, ma anche un gesto quotidiano, un rituale che permette alle due di affrontare la vita con un senso di leggerezza. È il loro modo di sopravvivere e di celebrare la bellezza del mondo, nonostante le difficoltà. Questa immagine suggerisce che la forza dell’animo umano risiede nella capacità di trovare significato e gioia anche nelle situazioni più difficili.
L’universalità della relazione madre-figlia
Questi versi non sono solo un ritratto della relazione tra Cvetaeva e sua figlia, ma rappresentano una riflessione universale sul legame tra madre e figlia. Il rapporto descritto nei versi è basato su una profonda complicità e uguaglianza: madre e figlia sono “così amiche noi due!” e “così orfane tutt’e due!”. La poetessa rifiuta una visione gerarchica della maternità, scegliendo invece di descrivere un rapporto tra pari, in cui entrambe condividono le stesse canzoni e gli stessi affanni.
Questa scelta di parole riflette un’idea moderna e rivoluzionaria della maternità, in cui la madre non è solo una figura autoritaria, ma anche un’amica e una compagna di viaggio. È una relazione basata sull’empatia e sulla comprensione reciproca, in cui entrambe si sostengono a vicenda in un mondo spesso ostile e indifferente.
Il tema della mancanza di una casa è centrale nei versi di Cvetaeva. Essere “senza casa” significa non avere un luogo fisico o spirituale a cui appartenere. Per Cvetaeva, che visse in esilio per gran parte della sua vita, questa condizione era una realtà concreta, ma anche una metafora della sua alienazione dal mondo. Tuttavia, la poetessa riesce a trasformare questa mancanza in un’opportunità per creare un legame ancora più profondo con sua figlia. La casa diventa simbolicamente il rapporto tra le due, un luogo di intimità e di rifugio che esiste al di là della dimensione fisica.
L’essenzialità del mondo
Nei versi finali, Cvetaeva scrive: “Il mondo ci nutre”. È un’affermazione di fiducia nella vita e nella sua capacità di provvedere, anche quando tutto sembra perduto. La poetessa non idealizza il mondo, ma riconosce che, nella sua semplicità, può offrire ciò di cui abbiamo bisogno per andare avanti. Questo senso di essenzialità si riflette nella vita che madre e figlia condividono: senza lusso o comodità, ma piena di piccoli momenti di bellezza e significato.
I versi di Marina Cvetaeva sono un inno alla connessione umana e alla capacità di trovare conforto e forza nelle relazioni più intime. Nonostante le difficoltà della vita, madre e figlia riescono a creare un mondo tutto loro, fatto di canzoni, affanni condivisi e piccole rivelazioni quotidiane. È una celebrazione della resilienza e della bellezza della vita, anche nelle sue forme più fragili e transitorie.
Questa poesia ci invita a riflettere sulle nostre relazioni e sulla capacità di trovare rifugio e significato nelle persone che amiamo, anche quando tutto il resto sembra mancare. È un messaggio di speranza che continua a risuonare con forza, ricordandoci che, come due uccelli o due pellegrini, possiamo sempre trovare una ragione per cantare.