Con questa citazione tratta da Viaggio al termine della notte, Louis-Ferdinand Céline compendia in poche righe una visione radicale dell’esperienza umana, della sofferenza e del senso della scrittura. Si tratta di un passo profondamente emblematico della poetica di Céline: una sintesi brutale ma veritiera della condizione esistenziale, segnata dalla guerra, dalla miseria, dall’abiezione, e attraversata dalla necessità impellente della memoria come unica forma di resistenza morale.
“La vera sconfitta in tutto è di dimenticare e specialmente ciò che ci ha fatto crepare, e crepare senza capire sino a qual punto gli uomini siano cani. Quando usciremo da questo crogiuolo, non occorrerà fare i furbi, ma nemmeno dimenticare; occorrerà raccontare tutto senza cambiare una parola, tutto quello che c’è di più schifoso negli uomini; e poi morire e scendere nella tomba. Come lavoro, basta, per una vita intera.”
L’urgenza della memoria per Louis-Ferdinand Céline
Il cuore pulsante di questa riflessione è il rifiuto dell’oblio. Dimenticare, per Céline, è la vera sconfitta, l’atto che annulla ogni possibilità di comprensione, di riscatto e persino di umanità. Dimenticare ciò che ci ha fatto “crepare” – termine crudo, non edulcorato, che in francese come in italiano evoca la morte più sporca e animalesca – significa morire due volte: nella carne e nello spirito. E soprattutto, significa morire senza sapere, senza capire la verità dell’essere umano.
Per Céline, capire “sino a qual punto gli uomini siano cani” non è un atto di misantropia gratuita, ma una presa di coscienza amara, eppure necessaria. L’uomo, nella sua visione, è capace di atti indicibili, soprattutto quando cala la maschera della civiltà. I conflitti, le guerre, l’oppressione, la fame e la morte sono lo sfondo di questo “crogiuolo” in cui gli esseri umani rivelano la propria vera natura. Chi vi sopravvive ha un compito preciso: ricordare e testimoniare.
Raccontare tutto senza cambiare una parola
In un mondo dove la verità è costantemente manipolata, riscritta, dimenticata per convenienza o per comodità, Céline propone un compito rivoluzionario e disperato: raccontare tutto senza cambiare una parola. Si tratta di un’esortazione alla testimonianza integrale, alla narrazione sincera anche (e soprattutto) di ciò che è più “schifoso” negli uomini.
Céline non crede nella bontà innata dell’uomo, né nella redenzione collettiva. Il suo sguardo è cupo, disilluso, figlio dell’esperienza della Grande Guerra e della vita nei bassifondi dell’umanità. Per lui, la vera onestà è non edulcorare, non nascondere, non giustificare. È un atteggiamento che non concede spazio alla retorica, ma pretende un impegno totale alla verità, anche nella sua forma più abietta.
La scrittura come lavoro di una vita
Il compito di raccontare tutto non è per Céline un esercizio intellettuale o un gioco letterario. È un lavoro. Un lavoro sporco, ingrato, totalizzante. Un mestiere che assorbe tutta una vita, che lascia spazio solo alla morte come epilogo naturale. Scrivere, per Céline, è come svuotare una fogna: si estrae il peggio, si osserva la decomposizione, si maneggiano i rifiuti dell’anima umana.
Questa visione è in aperto contrasto con le tradizionali concezioni idealistiche della letteratura come mezzo di elevazione, di consolazione, di bellezza. Céline rifiuta questa funzione estetizzante: per lui la letteratura deve essere urgente, necessaria, sporca. Solo così può restituire la verità della vita.
L’eredità esistenziale di Céline
Louis-Ferdinand Céline, con la sua scrittura frammentata, orale, febbrile, ha inciso nella carne della letteratura del Novecento una ferita aperta. Il suo Viaggio al termine della notte non è soltanto un romanzo, ma una dichiarazione di guerra contro le illusioni borghesi, contro la menzogna della Storia, contro l’ipocrisia dell’uomo. La citazione in oggetto si colloca proprio alla fine di questo viaggio: quando tutto è stato visto, vissuto e sofferto, non resta che ricordare e raccontare.
Eppure, in questa cupa visione, si nasconde una forma paradossale di speranza. Se raccontare tutto serve a non dimenticare, allora esiste un senso nel dolore. Il racconto, la scrittura, la memoria diventano un baluardo contro l’atrocità gratuita e la stupidità collettiva. Chi scrive e chi legge si assumono la responsabilità di non chiudere gli occhi, di non fingere, di non sottrarsi alla verità.
In un’epoca come la nostra, in cui l’oblio si fa sistema e la verità è spesso sacrificata alla comodità dell’informazione veloce, le parole di Louise-Ferdinand Céline risuonano con forza. Non occorre essere stati in guerra per capire il valore della memoria e della testimonianza. Ogni forma di sofferenza, ogni ingiustizia, ogni tradimento della dignità umana richiede attenzione e racconto.
Il compito di chi sopravvive non è solo quello di andare avanti, ma di non dimenticare, di parlare, di scrivere, di non cambiare una parola. È un lavoro pesante, forse sufficiente a occupare tutta una vita. Ma, come ci ricorda Louis-Ferdinand Céline, è anche l’unico modo per non crepare invano.