Nel romanzo Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia, pubblicato nel 1961, si intrecciano investigazione, denuncia sociale e riflessione filosofica. La citazione:
«La verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù non c’è più né sole né luna, c’è la verità»
è una delle più potenti dell’intera opera, capace di sintetizzare in poche righe una visione tragica, complessa e profondamente lucida della realtà. Analizzarla significa non solo comprendere un punto centrale del pensiero di Sciascia, ma anche interrogarsi sul rapporto tra apparenza e verità, tra illusione e conoscenza, tra giustizia e disvelamento.
Leonardo Sciascia e il suo acume che oggi manca tanto
L’immagine scelta da Sciascia è semplice e spiazzante: un pozzo. L’apertura stretta e buia, dalla quale si scorge, in alto, un riflesso del cielo. Guardando dentro, si possono vedere il sole o la luna riflessi nell’acqua sul fondo. Ma è solo un’illusione ottica, una proiezione, un’apparenza. Il punto di vista è fondamentale: se si resta in superficie, si può credere di vedere la verità. Solo chi ha il coraggio di gettarsi nel pozzo – di andare a fondo – può conoscere ciò che davvero si nasconde al di là del riflesso.
La metafora suggerisce che la verità non è immediata né piacevole, non è ciò che vediamo o crediamo di vedere. Anzi, ci mette in crisi: «non c’è più né sole né luna», dice Sciascia. Non c’è più la bellezza apparente, non ci sono più le illusioni, non resta che l’essenziale, e spesso l’essenziale è scomodo, spoglio, spietato.
Il coraggio del disvelamento
Sciascia era un intellettuale profondamente legato al valore della verità e della giustizia, anche quando queste si scontravano con l’ipocrisia del potere o con la cecità della società. Il giorno della civetta nasce come romanzo-inchiesta, ispirato a fatti reali di mafia e omertà nella Sicilia degli anni Cinquanta, un momento in cui parlare apertamente di criminalità organizzata era ancora un tabù. Il personaggio del capitano Bellodi, investigatore venuto dal nord, incarna il desiderio di andare in fondo, di non accontentarsi delle apparenze. Ma il prezzo di questa ricerca è l’isolamento, lo scontro con le resistenze, il rischio.
Buttarsi nel pozzo, quindi, è un atto di coraggio. Ma anche di dolore. La verità non consola, non salva. Al contrario: può spogliare di illusioni, può ferire. Eppure, è l’unica strada per la giustizia autentica, per la libertà di pensiero, per l’onestà intellettuale.
La verità come condizione tragica
Nel pensiero di Sciascia la verità non è mai rassicurante. È una dimensione tragica, nel senso classico del termine: espone l’individuo a un destino difficile, lo mette di fronte a dilemmi morali, lo isola dalla massa. Per questo spesso chi sceglie di cercarla è destinato alla solitudine o alla sconfitta. Ma è una sconfitta dignitosa, perché fondata sull’integrità.
Nel contesto siciliano raccontato da Sciascia, dominato da silenzi, connivenze e paure, cercare la verità significa mettersi contro un intero sistema culturale. È l’equivalente civile di un tuffo nel buio, senza certezze. Il pozzo è profondo, e il salto può essere senza ritorno.
Risonanze filosofiche
La citazione può essere letta anche in chiave filosofica, come una variazione contemporanea del mito della caverna di Platone. Come i prigionieri della caverna che scambiano le ombre per realtà, anche noi vediamo nel pozzo riflessi che ci sembrano verità, ma che non lo sono. Solo chi ha il coraggio di spezzare le catene e uscire (o in questo caso, scendere), può davvero conoscere. Ma questa conoscenza ha un costo: la perdita dell’illusione.
Al tempo stesso, c’è una componente esistenziale: la verità è ciò che ci mette a nudo, che ci toglie ogni appiglio. Eppure, senza questa verità non c’è autentica libertà, non c’è possibilità di cambiamento. L’alternativa è vivere in superficie, nella comodità dell’apparenza, ma nella falsità.
Attualità della citazione
A distanza di decenni, questa frase mantiene una straordinaria attualità. Nell’epoca dell’informazione veloce, dei social media, delle narrazioni costruite, del predominio dell’immagine, quanti sono disposti a “buttarsi nel pozzo”? Quanti preferiscono la luce riflessa a quella diretta, quanti si accontentano del racconto facile, evitando la fatica della ricerca e della verifica?
Il pensiero di Sciascia, e in particolare questa frase, ci pone davanti a un bivio sempre attuale: accettare la complessità o rifugiarsi nell’apparenza? Cercare il senso, o lasciarsi sedurre dai riflessi? In questa domanda si gioca non solo la dignità dell’individuo, ma anche quella di una società.
«La verità è nel fondo di un pozzo» non è soltanto un’immagine potente: è un monito. Ci invita a non fermarci alla superficie, a non accontentarci delle mezze verità, a riconoscere che solo la fatica del pensiero, dell’indagine, dell’impegno civile ci può avvicinare all’essenziale. E che solo accettando il buio e il silenzio del pozzo possiamo, forse, riconoscere il volto nudo e necessario della verità.