I versi di Konstantinos Kavafis sulla nostra natura nascosta

11 Dicembre 2025

Leggiamo assieme questi teneri e malinconici versi del poeta greco Konstantinos Kavafis tratti dalla poesia "Cose nascoste".

I versi di Konstantinos Kavafis sulla nostra natura nascosta

La poesia Cose nascoste, composta nel 1908 e non pubblicata da Konstantinos Kavafis durante la sua vita, è uno dei testi più rivelatori della sua poetica dell’intimità, del pudore e dell’autocensura. Già il titolo rimanda a un universo di omissioni, reticenze e silenzi che definiscono non solo uno stile, ma un’intera postura esistenziale. Nei versi citati la voce poetica dichiara esplicitamente il fallimento di ogni tentativo di ricostruzione biografica a partire dalle tracce esteriori. Ciò che appare, le azioni e le parole, non restituisce la verità dell’essere. Qualcosa – un “ostacolo” – ha agito costantemente, filtrando, deviando, cancellando.

Da quel che ho fatto e da quel che ho detto
non si provi a capire chi sono stato.
Un ostacolo c’era che alterava
le mie azioni e il modo in cui vivevo.
Un ostacolo c’era ad arrestarmi
quando ero sul punto di parlare.
Dai gesti passati inosservati,
dagli scritti più di altri appartati…

Konstantinos Kavafis e… “un ostacolo”

Questo ostacolo, volutamente lasciato senza nome, è la chiave interpretativa dell’intera poesia. Non è semplicemente una timidezza, né un comune disagio sociale. È una forza interiore ed esteriore insieme, un limite imposto dal contesto culturale e dalle norme implicite che regolano ciò che può essere detto e ciò che deve restare taciuto. Il testo, infatti, dialoga sottilmente con un altro scritto del poeta, Cose di bottega, in cui compare il celebre gioielliere geloso dei propri prodotti. Ma se quest’ultimo nasconde le sue creazioni per orgoglio, per paura che vengano giudicate o imitate, in Cose nascoste la dinamica è più complessa. Qui non si tratta di vanità artistica: qui l’occultamento ha radici più profonde, quasi esistenziali.

Nel 1908 Konstantinos Kavafis sta plasmando con maggiore chiarezza la sua poetica del desiderio e della segretezza, un’idea di poesia come custodia di ciò che non può essere proclamato in pubblico. La sua sensibilità, come ha sottolineato Dimitris Papanikolaou nel suo importante saggio sulla poetica dell’omosessualità in Konstantinos Kavafis, si muove in un territorio di luci radenti e penombre. Il poeta è consapevole che la propria voce può parlare davvero solo a chi condivide lo stesso tipo di ostacolo, a chi è “fatto come lui”.

Non è un caso che in una nota personale egli scriva di voler “dare luce ed emozione a quanti sono fatti come me”. L’arte diventa così una forma di riconoscimento reciproco, un luogo segreto di rispecchiamento tra individui che vivono nella stessa condizione di discrezione obbligata.

La poesia dunque, più che dichiarare una resa, costruisce un codice. Il messaggio è diretto a un “altro” simile, che saprà comprendere i segni minimi: non le dichiarazioni esplicite, ma “i gesti passati inosservati”, gli “scritti più di altri appartati”. È in queste tracce marginali che si può trovare la verità dell’io, non nelle azioni ufficiali, falsate dall’ostacolo. L’immagine suggerisce una lettura dell’opera come archivio di ciò che non ha potuto essere vissuto apertamente: una poetica dei residui, delle rimanenze.

Il verso “altro che sia fatto come me”, al quale si allude nella riflessione critica, è particolarmente commovente perché rivela la dimensione relazionale di questa poesia. L’io di kavafis non è chiuso in un narcisismo doloroso: è un io che cerca l’altro, pur sapendo che l’incontro potrà avvenire solo in modo obliquo, attraverso segnali quasi criptati. Questa tensione costruisce una comunità sotterranea, fatta non di visibilità ma di consonanza emotiva. È un gesto di coraggio, in un certo senso: Konstantinos Kavafis riconosce la difficoltà, ma non rinuncia a comunicare, anche se in un codice minoritario.

Il punto nodale evidenziato da Papanikolaou è proprio questo: la poesia non è un atto puramente estetico, ma un mezzo per dare dignità a un’esperienza condivisa da una minoranza che vive nell’ombra. Non si tratta di un manifesto, ma di una forma raffinata di resistenza emotiva. La voce che parla non chiede comprensione universale; chiede che almeno uno – un altro simile – possa leggere ciò che è nascosto. In questo modo, l’ostacolo che limita l’azione e la parola si trasforma in un dispositivo poetico: la mancanza produce stile, la reticenza si fa metodo.

Equilibrio tra confessione e silenzio

Ciò che colpisce, leggendo Cose nascoste, è l’equilibrio perfetto tra confessione e velatura. Il poeta non racconta esplicitamente la natura dell’ostacolo, ma ne fa sentire tutto il peso esistenziale. È una poesia che parla del limite senza mai violarlo, che mostra il dolore della rinuncia ma anche la sua necessità. Il risultato è un testo in cui l’intimità non diventa mai esibizione, e in cui il non detto risuona con una forza particolare.

In definitiva, Cose nascoste è una delle dichiarazioni poetiche più intense di Konstantinos Kavafis. In poche strofe, l’autore disegna la topografia di un’esistenza vissuta tra desiderio e silenzio, tra slanci interrotti e scritti appartati. E nel farlo, costruisce uno spazio di risonanza per chi vive le stesse tensioni, offrendo una lingua della segretezza che è, paradossalmente, una forma altissima di verità.

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