La citazione di John Fante (8 aprile 1909 – 8 maggio 1983) tratta da Il mio cane stupido riassume in poche parole una verità essenziale e universale sulla natura stessa della scrittura. Fante, con la sua prosa asciutta e vibrante, non parla solo del mestiere dello scrittore, ma descrive un processo umano, intimo, etico: scrivere non è solo mettere in fila parole, ma è un atto d’amore, e questo amore nasce dalla comprensione. E per comprendere davvero, è necessario fermarsi, osservare, ascoltare, mettersi nei panni dell’altro.
“Per scrivere bisogna amare, e per amare bisogna capire”
La frase ha una struttura che si srotola come una piccola catena logica, un sillogismo emotivo: per scrivere bisogna amare → per amare bisogna capire. Dunque, senza comprensione non c’è amore, e senza amore non c’è scrittura autentica. La scrittura, in questa visione, non è una pratica autoreferenziale, ma un gesto aperto verso il mondo. È un incontro.
Scrivere, per John Fante è anche un atto d’amore
Fante suggerisce che la scrittura nasce da un bisogno di connessione. Per raccontare una storia, un personaggio, un luogo, bisogna provare affetto, partecipazione emotiva verso ciò di cui si parla. Anche nel sarcasmo, nella critica o nell’ironia, se la scrittura è vera, c’è dietro un’emozione, un’urgenza, un legame. È l’amore che permette di dare corpo e voce a qualcosa, anche quando è contraddittorio, imperfetto o doloroso.
Pensiamo a Chiedi alla polvere, uno dei romanzi più celebri di Fante. Il protagonista Arturo Bandini è un personaggio irritante, a tratti patetico, presuntuoso e confuso. Eppure il lettore finisce per affezionarsi a lui. Perché? Perché Fante lo ama. Non lo idealizza, non lo giustifica, ma lo comprende a fondo, e attraverso quella comprensione lo racconta con tenerezza, con onestà. È questa l’essenza del gesto narrativo: uno sguardo che, pur conoscendo i difetti, accetta e include.
Capire: il punto di partenza dell’amore
Ma come si giunge all’amore? Secondo Fante, si comincia dalla comprensione. L’amore non nasce dal nulla: ha radici nella conoscenza, nell’empatia, nell’attenzione. Solo quando si comprende l’altro – persona, situazione, città, memoria – si può iniziare a volergli bene davvero. Capire significa superare il giudizio superficiale, ascoltare la complessità, accettare le contraddizioni.
È un processo che ricorda da vicino il lavoro dello scrittore: ascoltare i propri personaggi, lasciarli parlare, anche quando dicono cose scomode. Comprendere i propri luoghi, la propria infanzia, i legami, i traumi. E solo dopo, restituirli sulla pagina con quella verità emotiva che tocca chi legge.
In questo senso, la frase di Fante ha anche un valore etico. In un’epoca spesso frettolosa, in cui si tende a semplificare e ridurre, Fante ricorda che scrivere (e vivere) richiede pazienza, profondità, apertura. Non si può scrivere nulla di autentico se non ci si prende il tempo per capire davvero.
La scrittura come traduzione dell’invisibile
Quando Fante dice che per scrivere bisogna amare, sta anche dicendo che lo scrittore deve essere disposto a farsi toccare. La scrittura vera è sempre un rischio emotivo: implica lasciarsi attraversare, accettare la vulnerabilità. Solo così si può cogliere ciò che non si vede a occhio nudo: il non detto, le sfumature, la fragilità.
E questo vale per ogni forma di scrittura: narrativa, poesia, teatro, persino il saggio. Ogni parola che abbia davvero un peso nasce da un movimento d’amore verso qualcosa che si è imparato a conoscere. Non importa se si sta raccontando una madre, un quartiere, un gesto, un errore: ciò che conta è che si stia tentando di restituire una verità, non tanto oggettiva quanto affettiva.
Scrivere è anche un modo per capire
Infine, vale la pena notare come il processo non sia unidirezionale. Se è vero che per scrivere bisogna capire, è altrettanto vero che scrivere ci aiuta a capire. Molti scrittori, Fante compreso, hanno ammesso che iniziano a scrivere senza sapere dove stanno andando. È proprio l’atto dello scrivere che porta chiarezza. Le parole, una dopo l’altra, illuminano il pensiero, lo rivelano, lo mettono in ordine.
Scrivere è spesso un modo per esplorare se stessi, per dare un senso all’esperienza, per rielaborare il passato. E nel fare questo, si scopre di poter amare anche ciò che prima si faticava a comprendere: una delusione, un genitore distante, un fallimento.
La frase di John Fante non è solo una riflessione sul mestiere dello scrittore, ma un invito a vivere con più consapevolezza. Scrivere, amare e capire non sono tre azioni separate, ma tre aspetti di uno stesso movimento verso l’altro, verso il mondo, verso noi stessi. Chi scrive senza amore produce testi vuoti. Chi ama senza capire rischia l’idealizzazione. Chi comprende, invece, ha già fatto il primo passo per raccontare, per accogliere, per creare.
In fondo, la scrittura non è altro che questo: un modo per abitare la realtà con più intensità, più attenzione, più cura. E forse, come ci ricorda Fante, anche con un po’ più di amore.