Italo Calvino, nel suo romanzo Le città invisibili, mette in scena un dialogo denso di significati tra Kublai Kan e Marco Polo, due figure che incarnano il potere e l’esperienza, la teoria e la pratica, il centro e il margine. In una delle riflessioni più emblematiche dell’opera, il sovrano chiede al viaggiatore se il suo peregrinare abbia lo scopo di rivivere il passato o di ritrovare il futuro. Marco Polo risponde con una frase che racchiude il senso stesso dell’esplorazione: “L’altrove è uno specchio in negativo. Il viaggiatore riconosce il poco che è suo, scoprendo il molto che non ha avuto e non avrà.”
– Viaggi per rivivere il tuo passato ? – era a questo punto la domanda del Kan, che poteva anche essere formulata cosi: – Viaggi per ritrovare il tuo futuro?
E la risposta di Marco: – L’altrove è uno specchio in negativo. Il viaggiatore riconosce il poco che è suo, scoprendo il molto che non ha avuto e non avrà.
Questa citazione racchiude una delle idee fondamentali di Calvino sul viaggio e sulla conoscenza: il viaggio come processo di scoperta di sé attraverso l’altro, l’altrove, l’ignoto. Non si tratta solo di spostarsi nello spazio, ma di riflettere su ciò che si è e su ciò che non si potrà mai essere. Ogni luogo visitato diventa, per contrasto, una definizione della propria identità, della propria storia e delle proprie mancanze.
Il viaggio come specchio, le città visitate come scacchiera della realtà nel romanzo di Italo Calvino
Il concetto dello “specchio in negativo” suggerisce che il viaggio non è soltanto un’esperienza di arricchimento, ma anche di confronto con la propria limitatezza. Il viaggiatore si accorge di ciò che possiede solo quando si trova immerso in un contesto diverso, dove le abitudini, i valori e le strutture sociali non coincidono con le sue. Paradossalmente, il viaggio non aggiunge qualcosa all’identità del viaggiatore, ma gliela restituisce svuotata, priva di illusioni, evidenziando ciò che è stato lasciato indietro e ciò che non sarà mai raggiunto.
Questo pensiero si lega a un tema centrale della letteratura di Calvino: la relatività della conoscenza. Nelle Città invisibili, le città descritte da Marco Polo non sono mai luoghi concreti, ma riflessi di possibilità, interpretazioni della realtà che mutano a seconda di chi le osserva. Il viaggio diventa allora un’occasione per prendere coscienza della molteplicità dell’esperienza umana e della soggettività della percezione.
Viaggiare tra passato e futuro
La domanda di Kublai Kan, “Viaggi per rivivere il tuo passato o per ritrovare il tuo futuro?”, sottolinea un’altra dimensione essenziale del viaggio: il rapporto con il tempo. Spesso si parte alla ricerca di qualcosa che si è perduto, un’eco del passato che si crede ancora recuperabile. Allo stesso tempo, si viaggia per costruire un futuro, per inseguire una promessa di cambiamento e trasformazione. Ma il viaggiatore di Calvino è consapevole che né il passato né il futuro sono realmente raggiungibili: il primo è già svanito, il secondo è irraggiungibile.
Ciò che resta è il presente, il continuo movimento tra ciò che si è stati e ciò che si potrebbe essere. Ed è proprio in questo oscillare tra memoria e desiderio che si situa il senso del viaggio: non come una fuga dalla propria realtà, ma come un modo per comprenderla meglio.
L’identità nel confronto con l’altro
Il pensiero di Calvino si inserisce in una tradizione filosofica e letteraria che vede il viaggio come esperienza esistenziale. Da Ulisse a Dante, da Goethe a Bruce Chatwin, il viaggiatore è colui che si misura con l’altro per definire se stesso. In questa prospettiva, il viaggio non è un semplice spostamento, ma una modalità di conoscenza e riflessione.
Marco Polo, nelle Città invisibili, rappresenta il viaggiatore per eccellenza: colui che attraversa luoghi inesistenti per raccontare la realtà. Le sue città non esistono se non come metafore della condizione umana, della memoria, del desiderio, della nostalgia. E il suo viaggio non è altro che un percorso interiore, in cui il confronto con l’altrove permette di comprendere meglio ciò che si è.
Attraverso questa citazione, Calvino ci invita a riflettere sul senso del viaggio e sul rapporto tra identità e alterità. Viaggiare non significa solo scoprire il mondo, ma anche riconoscere ciò che ci appartiene e ciò che non potremo mai avere. Ogni esperienza di viaggio è un confronto con il limite, una presa di coscienza della vastità del possibile e della finitezza dell’individuale.
In un’epoca in cui viaggiare è diventato più accessibile che mai, questa riflessione assume un valore ancora più profondo. L’altrove, oggi, è sempre più vicino, ma il vero viaggio resta quello interiore, quello che ci permette di riconoscere il nostro poco attraverso il molto che ci sfugge. Ed è forse proprio questa consapevolezza a rendere il viaggio un’esperienza tanto necessaria quanto inafferrabile.