Oggi lo scrittore indiano Salman Rushdie compie 73 anni. Divenuto uno degli autori più celebri al mondo, in seguito alla fatwa che lo condannò a morte nel 1989, Salman Rushdie è il simbolo vivente della libertà di parola. Parola che non si arrende davanti alle minacce, ma lotta per sopravvivere alla censura e alla menzogna. Abbiamo quindi deciso di iniziare oggi con una sua frase, per riflettere sul legame imprescindibile fra parola e libertà.
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La fatwa contro Salman Rusdie
Nel febbraio 1989, a seguito della pubblicazione del romanzo “I versetti satanici”, l’Ajatollah Khomeini lanciò una fatwa contro Rushdie, condannandolo a morte per blasfemia. Khomeini è morto, ma esistono ancora forze islamiste che minacciano la vita di Rushdie. Anche chi ebbe a che fare con l’opera di Rushdie ne subì conseguenze. Il 3 luglio 1991 venne pugnalato nella sua abitazione milanese Ettore Capriolo, traduttore del libro in italiano, fortunatamente non a morte. Una sorte peggiore toccò al traduttore giapponese, Hitoshi Igarashi, che venne ucciso a Tokyo il 12 luglio, mentre l’editore norvegese William Nygaard fu ferito a colpi d’arma da fuoco nell’ottobre del 1993.
I versi satanici di Salman Rushdie
l libro contiene una rivisitazione romanzata in chiave onirica dell’episodio dell’ispirazione diabolica di Maometto, che valse all’autore una fatwā di Khomeyni, che ne decretò la condanna a morte per bestemmia. Infatti, “I versi satanici” non è solo un romanzo, ricchissimo di immagini e invenzioni, ma è anche un libro che ha diviso l’opinione pubblica mondiale, dando origine a un caso letterario senza precedenti. Protagonisti della storia sono due viaggiatori, miracolosamente scampati a un disastro aereo e trasformati l’uno in una creatura angelica e l’altro in un essere diabolico. Ormai simboli del Bene e del Male, i due si affronteranno nella più antica e inevitabile delle battaglie.