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Hannah Arendt e l’attualità del suo pensiero oggi

Ricordiamo Hannah Arendt, politologa e filosofa tedesca, nel giorno in cui ricorre l'anniversario della sua nascita. Il suo pensiero e i suoi scritti sembrano essere stati concepiti per il tempo che stiamo vivendo. La citazione con cui iniziamo la giornata è tratta proprio dal suo capolavoro, "La banalità del male".

Il 14 ottobre del 1906 nasceva ad Hannover Hannah Arendt, filosofa e politologa tedesca divenuta celebre nel mondo per il capolavoro “La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme“, l’opera in cui l’autrice racconta il processo di Otto Adolf Eichmann – criminale di guerra fra i maggiori responsabili dello sterminio degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale – e riflette sui temi etici, politici e giuridici che si celano dietro alle vicende di questo carnefice. 

In occasione del suo anniversario di nascita, condividiamo con voi una citazione di Hannah Arendt, tratta proprio da “La banalità del male”, che in poche righe racconta il dualismo bene/male ed esplica la natura di quest’ultimo. Mai come in questi giorni, in cui la guerra in Ucraina si fa ancor più dolorosa per via degli eventi luttuosi che stanno interessando Kiev e i dintorni, la frase di Hannah Arendt acquisisce un’incredibile attualità.

Il male e la sua natura secondo Hanna Arendt

Ciò che colpisce del pensiero di Hannah Arendt, è come esso racchiuda concetti difficilmente esprimibili a parole in modo semplice, chiaro, conciso, con immagini che subito rendono chiaro il filo conduttore del discorso dell’autrice:

“Quel che ora penso veramente è che il male non è mai ‘radicale’, ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie come un fungo. Esso ‘sfida’ come ho detto, il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua ‘banalità’. Solo il bene è profondo e può essere radicale”.

Dunque, secondo la filosofa e politologa, il male non possiede la caratteristica della profondità, non è intimamente legato alla natura dell’uomo. Il male, che può raggiungere livelli “estremi”, riesce ad espandersi con eccezionale rapidità, a raggiungere ogni angolo del reale ma, nonostante ciò, esso si propaga soltanto in superficie, come un fungo. Il pensiero, che invece va in profondità, cerca il male, lo indaga, e non riesce nell’intento, perché il male, in profondità, non esiste: è banale. 

Leggendo una simile riflessione, le nostre menti si volgono subito in direzione dell’Ucraina, della Russia, di tutte le zone in cui in questo momento infuriano le guerre, estreme sintesi della banalità del male. Per le decisioni di uno solo, in migliaia, milioni, soffrono. Per la mancanza di profondità di un uomo, i missili stanno raggiungendo, distruggendo, annientando case, cose e persone. 

Quando finirà tutto questo? Quando ci accorgeremo della banalità del male e riusciremo finalmente a bucare questa nera coltre superficiale per ritornare ad ammirare la luna e le stelle?

Hannah Arendt

Hannah Arendt nacque ad Hannover il 14 ottobre del 1906. Lavorò come giornalista e docente di scuola superiore e pubblicò opere importanti di filosofia politica. Rifiutò sempre di essere categorizzata come filosofa, preferì che la sua opera fosse descritta come teoria politica invece che come filosofia politica.

La privazione dei diritti civili e la persecuzione subite in Germania a partire dal 1933 a causa delle sue origini ebraiche, unitamente alla sua breve carcerazione, contribuirono a far maturare in Hannah Arendt la decisione di emigrare. Il regime nazista le ritirò la cittadinanza nel 1937, quindi rimase apolide fino al 1951, anno in cui ottenne la cittadinanza statunitense. Fu negli Stati Uniti che scrisse, a partire dal processo contro il generale nazista Eichmann, la sua opera più famosa: “La banalità del male”.

“La banalità del male”

Otto Adolf Eichmann, figlio di Karl Adolf e di Maria Schefferling, catturato in un sobborgo di Buenos Aires la sera dell’11 maggio 1960, trasportato in Israele nove giorni dopo e tradotto dinanzi al Tribunale distrettuale di Gerusalemme l’11 aprile 1961, doveva rispondere di 15 imputazioni.

Aveva commesso, in concorso con altri, crimini contro il popolo ebraico e numerosi crimini di guerra sotto il regime nazista. L’autrice assiste al dibattimento in aula e negli articoli scritti per il “New Yorker”, sviscera i problemi morali, politici e giuridici che stanno dietro il caso Eichmann. Il Male che Eichmann incarna appare nella Arendt “banale”, e perciò tanto più terribile, perché i suoi servitori sono grigi burocrati.

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