La frase di Giuseppe Berto tratta da Il male oscuro è un frammento densissimo, che racchiude uno dei nuclei filosofici più profondi dell’opera: il rapporto difficile, quasi impossibile, tra l’identità individuale e la realtà in continuo divenire.
«Insomma ciò che importa raggiungere è una serena valutazione di sé stesso nei confronti della realtà, cosa tuttavia più facile da dire che da fare dato che velocemente cambiamo noi e insieme ovverosia contemporaneamente cambia anche la realtà la quale poi è costituita da infinite cose in perenne mutamento e inoltre da alcuni milioni o miliardi di individui ognuno in rapida…»
Nel romanzo, pubblicato nel 1964 e vincitore del Premio Campiello e del Premio Viareggio, Giuseppe Berto esplora con lucidità dolorosa la condizione psicologica dell’uomo moderno, intrappolato tra la ricerca di equilibrio interiore e la consapevolezza della propria fragilità. La citazione in esame tocca il cuore di questa tensione: la necessità di comprendere se stessi e la realtà circostante, pur sapendo che entrambi mutano incessantemente.
Giuseppe Berto e il “male oscuro”
Giuseppe Berto parla di una “serena valutazione di sé stesso” come obiettivo ultimo dell’esistenza, ma subito ne riconosce la difficoltà. La serenità, in questa prospettiva, non è l’assenza di turbamento, bensì una forma di equilibrio dinamico, una consapevolezza lucida che nasce dall’accettazione del cambiamento. L’autore sembra suggerire che conoscere se stessi non è mai un atto definitivo, ma un processo costante, in cui ogni certezza viene continuamente rinegoziata.
La serenità, allora, non può essere raggiunta attraverso l’illusione della stabilità, ma solo tramite l’accoglienza del mutamento. È un’idea che richiama la saggezza antica dei filosofi eraclitei — «panta rhei», tutto scorre — e insieme la modernità del pensiero psicologico novecentesco, che riconosce l’io come realtà fluida, molteplice, mai compiuta.
Nel contesto del romanzo, questa “serena valutazione” appare quasi come un paradosso, poiché il protagonista de Il male oscuro è un uomo dominato dall’inquietudine, dal senso di colpa e dalla paura. La sua voce narrativa, lucidamente analitica e ossessiva, tenta di razionalizzare l’angoscia, ma ogni tentativo di stabilità interiore viene travolto dal continuo mutare della realtà e del sé.
Il doppio movimento del cambiamento
La riflessione di Giuseppe Berto è straordinaria per la sua capacità di cogliere la simultaneità del cambiamento: “velocemente cambiamo noi e insieme […] cambia anche la realtà”. Non c’è un solo movimento, ma due — quello del soggetto e quello del mondo — che avvengono in parallelo e in interazione. Questo doppio dinamismo rende impossibile una conoscenza fissa o definitiva: mentre tentiamo di capire chi siamo, la realtà intorno a noi è già diversa; mentre cerchiamo di adattarci, anche noi stessi siamo cambiati.
Si tratta di una visione profondamente relativistica e moderna. L’individuo non è più il centro stabile dell’universo, ma un frammento in balia del tempo e delle trasformazioni. In un’epoca, come quella di Berto, segnata da rapidi mutamenti sociali, psicologici e culturali, questa percezione del flusso continuo assume un valore quasi esistenziale.
Il linguaggio stesso della citazione — con la sua costruzione lunga, ipotattica, incalzante — restituisce il senso di un pensiero che si sviluppa e si corregge mentre procede, come se volesse imitare il ritmo della vita in mutamento. Ogni inciso, ogni aggiunta (“infinite cose in perenne mutamento”, “milioni o miliardi di individui ognuno in rapida…”) è un frammento che cerca di afferrare l’incomprensibile vastità del reale, ma al tempo stesso ne certifica l’irraggiungibilità.
Realtà e relatività
La realtà, per Giuseppe Berto, non è un blocco compatto e oggettivo, ma una rete di elementi mobili e interdipendenti. Non solo “infinite cose” mutano, ma anche le persone che le abitano — “milioni o miliardi di individui” — ognuna portatrice di un proprio mondo, di un proprio ritmo di cambiamento. La realtà, dunque, non è un’entità esterna, ma una somma di percezioni: cambia perché cambiano gli sguardi che la osservano.
In questo senso, la citazione contiene un’intuizione che anticipa molte riflessioni contemporanee sulla complessità del reale. L’idea che non esista una verità unica, ma una molteplicità di prospettive in continuo dialogo (o conflitto), è profondamente moderna e risuona ancora oggi nella filosofia, nella psicologia e perfino nella fisica del Novecento.
Il male oscuro e la conoscenza di sé
Nel romanzo, la tensione tra sé e realtà si traduce in un disagio psichico, in quel “male oscuro” (citazione da Gadda) che dà il titolo all’opera e che si identifica con la depressione. È un dolore senza nome, che nasce proprio dall’impossibilità di stabilire un punto fermo: il protagonista cerca di comprendersi, ma ogni volta che crede di aver trovato una risposta, essa sfuma. Il mondo intorno gli appare mutevole, incomprensibile, e così anche il suo io.
La “serena valutazione di sé” diventa allora una meta utopica, un equilibrio che forse non si raggiunge mai, ma che si può solo tendere a costruire nel continuo confronto con la realtà. La consapevolezza della propria mutevolezza — e di quella del mondo — può generare angoscia, ma anche una nuova forma di saggezza: quella che accetta il limite, che riconosce la vita come flusso e la conoscenza come processo
Le parole di Giuseppe Berto, scritte negli anni Sessanta, appaiono oggi straordinariamente attuali. Viviamo in un’epoca di cambiamento accelerato, in cui identità, relazioni e valori sembrano mutare alla velocità della tecnologia e dell’informazione. L’ansia di stabilità e la difficoltà di “valutare serenamente” se stessi sono sentimenti universali, amplificati dalla complessità del mondo contemporaneo.
Eppure, nella riflessione di Giuseppe Berto si intravede una possibile via d’uscita: non nel fermare il cambiamento, ma nel abitare consapevolmente la sua instabilità. Accettare che né noi né la realtà siamo mai uguali a noi stessi può diventare una forma di libertà.
La “serena valutazione di sé” non è allora un punto d’arrivo, ma un atteggiamento mentale, una disposizione a guardarsi e guardare il mondo senza pretese di assoluto, con umiltà e con lucidità. In un universo di “infinite cose in perenne mutamento”, questa consapevolezza resta forse l’unica forma possibile di equilibrio — e, in fondo, l’unico modo autentico di conoscersi davvero.