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I versi di Giovanni Pascoli che ricordano la forza della speranza

Leggiamo questi versi di Giovanni Pascoli, che compongono le prime due strofe della poesia "Povero Dono", testo cupo con una luce in fondo.

Con questi versi dโ€™esordio del madrigale Povero dono, Giovanni Pascoli ci introduce in unโ€™atmosfera di tensione interiore e di lotta spirituale, oscillante tra la tentazione della fine e un richiamo alla speranza. Siamo nel cuore di una delle tematiche piรน profonde e dolorose della poetica pascoliana: quella del suicidio come esito di un dolore insopportabile, ma anche della resistenza spirituale che nasce da una voce, da un ricordo, da un legame affettivo che trascende la morte.

Getta quellโ€™arma che tโ€™incanta. Spera
lโ€™ultima volta. Aspetta ancora, aspetta
che il gallo canti per la cittร  nera.

Il gallo canta, fuggono le larve.
Fuggirร , fuggirร  la maledetta
maga che con fatali occhi tโ€™apparve.

Giovanni Pascoli e la speranza oltre la disperazione e la morte

Composta nel 1895 e pubblicata in occasione delle nozze Bemporad-Padovano, Povero dono entrรฒ poi a far parte della raccolta Myricae nella sezione del 1897 (MY497). Il componimento รจ strutturato in forma di madrigale, ovvero una composizione lirica breve in endecasillabi che nella forma scelta da Pascoli segue lo schema metrico ABA, CBC, DEDE. I versi sono attraversati da un raffinato gioco di assonanze e allitterazioni, strumenti retorici che sostengono la tensione emotiva e rafforzano la musicalitร  del testo. Il suono e il senso si fondono in una poesia che รจ al contempo confessione intima e invito morale.

La poesia si apre con un imperativo carico di urgenza: ยซGetta quellโ€™arma che tโ€™incanta.ยป Lโ€™arma, simbolo della morte volontaria, esercita un fascino oscuro, quasi magico, sul soggetto lirico. รˆ una seduzione mortale, che rispecchia lo stato psicologico di chi contempla il suicidio come via dโ€™uscita dal dolore. Il verbo โ€œincantaโ€ non รจ casuale: richiama il potere stregonesco della disperazione, come se lโ€™arma fosse essa stessa una maga, una presenza malefica che irretisce lโ€™anima sofferente.

Segue unโ€™esortazione che diventa una preghiera laica: ยซSpera / lโ€™ultima volta. Aspetta ancora, aspettaโ€ฆยป La ripetizione del verbo โ€œaspettareโ€ dilata il tempo, sospende il gesto estremo. รˆ il tempo dellโ€™attesa del miracolo, dellโ€™intervento salvifico, e anche del possibile cambiamento. Il poeta invoca un barlume, un segnale: ยซche il gallo canti per la cittร  nera.ยป Lโ€™immagine del gallo evoca immediatamente il rinnegamento di Pietro e, insieme, la possibilitร  del pentimento e della redenzione. Il canto del gallo, simbolo della rinascita del giorno, irrompe nella โ€œcittร  neraโ€ โ€” simbolo della notte, del lutto, della morte โ€” come unโ€™eco di resurrezione.

La seconda terzina prosegue sul medesimo registro visionario: ยซIl gallo canta, fuggono le larve. / Fuggirร , fuggirร  la maledetta / maga che con fatali occhi tโ€™apparve.ยป La ripetizione del verbo โ€œfuggireโ€ segna un momento catartico: come la luce dellโ€™alba scaccia le ombre, cosรฌ il canto del gallo allontana le โ€œlarveโ€, ovvero i fantasmi interiori, i pensieri cupi, le presenze demoniache della mente. E infine, fugge anche la โ€œmagaโ€, figura emblematica del male, colei che โ€œapparveโ€ con occhi โ€œfataliโ€, cioรจ destinati a condurre alla fine. Si tratta di una personificazione della tentazione, del dolore travestito da seduzione, di unโ€™idea di morte che si traveste da sollievo.

Tutto questo ha un profondo risvolto autobiografico. Giovanni Pascoli stesso, in una sua confessione contenuta nei Carmina (CC La voce, vv. 37-48), racconta una notte passata in carcere, durante la quale fu sul punto di togliersi la vita: ยซagli uomini, la mia vita, / volevo lasciargliela lรฌโ€ฆยป. Ma proprio in quel momento, sentรฌ una voce smarrita, un soffio che lo chiamava: โ€œZvanรฎโ€ฆโ€ โ€” il suo nome infantile in dialetto romagnolo. Era la voce della madre morta, che lo salvรฒ da un gesto irreparabile. Questa memoria riemerge in โ€œPovero donoโ€, sia nellโ€™immagine del gallo che canta โ€” segno di un ritorno alla coscienza โ€” sia nella fuga della maga, ovvero della disperazione.

Nella quartina finale, che qui non รจ riportata integralmente ma che chiude il madrigale, Giovanni Pascoli intensifica il tono elegiaco con allitterazioni e giochi fonici (tra cui โ€œMadre, morta, mesto, mormorรฌoโ€) e con un suggestivo uso dellโ€™annominatio tra prece e pregherร , che rafforza il legame tra la memoria della madre e il gesto salvifico della preghiera. La madre morta, nel suo silenzioso mormorio notturno, diventa figura protettrice, simbolo di un amore eterno che resiste al nulla e alla disperazione.

La luce della speranza

In conclusione, โ€œPovero donoโ€ non รจ solo un breve componimento in versi: รจ una testimonianza di lotta interiore, un frammento lirico che contiene lโ€™eco di una crisi esistenziale autentica, vissuta dal poeta e trasfigurata in simboli universali. Il โ€œpovero donoโ€ a cui si allude nel titolo puรฒ essere la vita stessa, fragile, dolorosa, ma ancora degna di essere sperata e custodita. In un mondo che spesso spinge verso il buio, Giovanni Pascoli invita ad attendere il gallo, ad ascoltare la voce che chiama nel silenzio. Anche nella โ€œcittร  neraโ€ dellโ€™anima, un canto puรฒ ancora annunciare la salvezza.

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