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I versi di Giosuè Carducci dedicati a Francesco Petrarca

Leggiamo i dotti e ammirati versi scritti da Giosuè Carducci per omaggiare il grande poeta aretino Francesco Petrarca, tanto ammirato dal poeta.

Nel sonetto “Commentando il Petrarca”, Giosuè Carducci ci offre uno sguardo profondo e appassionato sulla figura di Francesco Petrarca, non solo come poeta, ma anche come simbolo di armonia intellettuale e spirituale. Scritto nell’aprile del 1868, durante un periodo particolarmente tumultuoso della vita del poeta bolognese, il componimento rappresenta una pausa lirica in mezzo al frastuono delle polemiche accademiche e delle tensioni politiche del tempo. Carducci, sospeso dall’insegnamento per aver commemorato la Repubblica romana e per il suo tributo a Mazzini, si rifugia idealmente in una dimensione poetica e spirituale, trovando nella voce di Petrarca un conforto e un modello.

Messer Francesco, a voi per pace io vegno
E a la vostra gentile amica bionda:
Terger vo’ l’alma irosa e ’l torvo ingegno
A la dolce di Sorga4 e lucid’onda.

Ecco: un elce mi porge ombra e sostegno,
E seggo, e chiamo, a la romita sponda;
E voi venite, e un salutevol segno
Mi fa il coro gentil che vi circonda.

Giosuè Carducci e la sua ammirazione nei confronti di Francesco Petrarca

Il sonetto si apre con una dichiarazione quasi confidenziale, in un tono che mescola umiltà e riconoscenza:

“Messer Francesco, a voi per pace io vegno
E a la vostra gentile amica bionda:”

L’apostrofe a “Messer Francesco” stabilisce un legame diretto, personale, quasi devozionale con Petrarca. Carducci non si pone come erede o discepolo altisonante, ma come un viandante inquieto in cerca di pace. La pace che cerca è spirituale, poetica e, forse, anche intellettuale, nel desiderio di sottrarsi al “torvo ingegno” e all’anima “irosa” che lo agitano.

“Terger vo’ l’alma irosa e ’l torvo ingegno
A la dolce di Sorga e lucid’onda.”

Il poeta si immagina presso la Sorga, il fiume francese caro a Petrarca e simbolo del suo lirismo. Il gesto del “tergere” (cioè detergere, purificare) è indicativo di una vera e propria catarsi. L’acqua limpida della Sorga non è solo paesaggio, ma metafora di quella limpidezza poetica e morale che Petrarca incarna. In questo senso, Carducci si rappresenta come un pellegrino della parola, in cerca di una sorgente che lo liberi dalle impurità del tempo.

Il paesaggio che segue si carica di un’aura bucolica e meditativa:

“Ecco: un elce mi porge ombra e sostegno,
E seggo, e chiamo, a la romita sponda;”

L’“elce”, o leccio, pianta tipica del paesaggio mediterraneo, offre ombra e rifugio: è un segno di accoglienza, di pausa, di ascolto. Il verbo “seggio” implica stabilità, contemplazione; mentre “chiamo” indica il desiderio di colloquio, di comunione con l’anima petrarchesca. La “romita sponda” accentua il senso di isolamento voluto, quasi monacale, un allontanamento dal mondo per abbandonarsi al dialogo interiore.

La visione si compie nei versi finali, quando Petrarca, evocato, risponde:

“E voi venite, e un salutevol segno
Mi fa il coro gentil che vi circonda.”

Qui la figura del poeta trecentesco non è sola: è accompagnata da un “coro gentil”, simbolo della poesia ideale, della classicità, di una comunità spirituale che veglia sul poeta moderno. Il “salutevol segno” è un gesto benevolo, quasi un’investitura: Carducci viene accolto tra i “degni”, in un’ideale continuità con la tradizione lirica.

Carducci e i suoi studi su Petrarca

Ma perché Giosuè Carducci sceglie proprio Petrarca come interlocutore ideale? In un’epoca segnata da ideologie forti, lotte politiche e rotture culturali, Petrarca rappresenta un faro di equilibrio, di introspezione, di classicità. Non a caso, il commento al Canzoniere era un progetto importante per Giosuè Carducci, che negli stessi anni portava avanti un’operazione di riappropriazione della lingua e della tradizione poetica italiana. Francesco Petrarca, nella sua tensione tra il terreno e il trascendente, tra passione e disciplina, incarnava quell’ideale umanistico in cui anche il Carducci laico e repubblicano poteva riconoscersi.

Il sonetto assume così il valore di una meditazione sull’eredità poetica. Non è solo un omaggio, ma un atto di rigenerazione. Attraverso la voce di Francesco Petrarca, Carducci cerca di purificare se stesso, di uscire dalle secche della polemica quotidiana per ritrovare la centralità della parola. Il gesto poetico diventa dunque gesto etico, e la poesia un luogo di verità e di pacificazione.

In un’epoca che guarda spesso alla poesia solo come espressione individuale o come strumento di militanza, “Commentando il Petrarca” ci ricorda che essa può essere anche un atto di ascolto, un incontro fra tempi diversi, un luogo di riconciliazione interiore. Carducci, nel rivolgersi a Francesco Petrarca, non cerca una risposta ideologica, ma un modello di limpidezza, di misura, di rigore. E nella figura del poeta dell’amor cortese trova non tanto un maestro dottrinale quanto un fratello d’anima, un compagno di solitudine, un custode di armonia.

Il risultato è un testo che, pur nato in un contesto di lotta e divisione, ci parla della necessità della calma, della meditazione, della bellezza. Un testo che invita alla lettura lenta, al ritorno ai classici, all’ascolto della lingua nella sua forma più pura. Un piccolo gioiello della poesia carducciana, che conferma, ancora una volta, quanto la poesia possa essere luogo di incontro tra storia, memoria e desiderio di verità.

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