I versi di Giorgio Manganelli tratti dalla raccolta “Di buio in buio” sono un’intensa e struggente riflessione sulla condizione umana, sulla creatività, e sulla relazione con il divino. Questi versi sono carichi di un senso di colpa e di richiesta di redenzione che, tuttavia, non riguarda direttamente l’autore, bensì la sua opera, la sua creazione poetica. Manganelli, noto per la sua scrittura complessa, barocca, ci offre qui una visione profonda e inquietante dell’anima dell’artista, un’anima che lotta per liberare la propria voce, la propria creazione, dalle limitazioni della mortalità.
“Non perdonarmi, Signore;
perdona questo mio canto:
non muoia con me,
si liberi almeno
da questa mia gabbia.”
Giorgio Manganelli, l’autodissoluzione e la grazia della poesia.
Il primo verso, “Non perdonarmi, Signore,” è una dichiarazione di una forza straordinaria. Qui, Giorgio Manganelli sembra rifiutare la richiesta di perdono per se stesso, quasi come se riconoscesse che il suo destino è già segnato o che non meriti la grazia divina. Questo potrebbe essere letto come un’affermazione dell’accettazione della propria condizione umana, con tutte le sue imperfezioni e peccati. L’autore non cerca l’assoluzione per i suoi errori o per la sua vita, ma sposta l’attenzione su qualcosa di più grande, su qualcosa che lo trascende: il suo canto.
Il “canto” a cui si riferisce Giorgio Manganelli è chiaramente la sua opera creativa, la poesia stessa. Nei versi successivi, chiede al Signore di perdonare non lui, ma il suo canto: “perdona questo mio canto: / non muoia con me, / si liberi almeno / da questa mia gabbia.” Questo è un appello disperato per l’immortalità dell’arte, per la sopravvivenza della creazione poetica oltre la vita del creatore. Giorgio Manganelli riconosce la caducità della propria esistenza, ma spera che la sua opera possa sopravvivere, che possa “liberarsi” dalla “gabbia” della mortalità umana.
Qui emerge un tema comune nella letteratura e nella filosofia: l’idea che l’arte possa trascendere il tempo e lo spazio, che possa vivere indipendentemente dal suo creatore. La “gabbia” di cui parla Manganelli è la condizione umana, con tutte le sue limitazioni fisiche e temporali. Il poeta sa che è destinato a morire, ma spera che la sua poesia possa sfuggire a questo destino, che possa continuare a vivere e a parlare alle generazioni future.
In un certo senso, Giorgio Manganelli sembra vedere la creazione poetica come un atto divino, o almeno come qualcosa che richiede l’approvazione divina per sopravvivere. Chiedendo a Dio di perdonare il suo canto, riconosce che l’arte, per quanto potente, è ancora subordinata a una forza più grande, che può decidere il suo destino. Ma c’è anche un elemento di sfida in questa richiesta, quasi come se Manganelli stesse mettendo alla prova il divino: se non puoi perdonarmi, allora almeno perdona la mia creazione.
Questa prospettiva sottolinea l’importanza dell’arte non solo come mezzo di espressione personale, ma come qualcosa che può assumere una vita propria, indipendente dal suo creatore. La poesia, secondo Giorgio Manganelli, ha un valore intrinseco che va oltre la persona che l’ha creata, e merita di essere preservata, anche se l’autore stesso non lo è.
Il tema della lotta dell’artista contro le limitazioni imposte dalla mortalità e dalla condizione umana è centrale in questi versi. La poesia diventa una sorta di preghiera, un appello al divino non per la salvezza personale, ma per la salvezza dell’opera. Questo è un tema che risuona profondamente nella storia della letteratura e dell’arte, dove gli artisti hanno spesso cercato di lasciare un segno eterno, qualcosa che possa sopravvivere alla loro morte.
In Giorgio Manganelli, questa lotta assume una tonalità quasi tragica. L’artista sa che la sua opera è intrappolata nella “gabbia” della sua esistenza umana, ma non può fare a meno di sperare che possa, in qualche modo, sfuggire a questo destino. È una lotta contro l’oblio, contro la scomparsa inevitabile che attende ogni essere umano. Ma è anche una lotta per affermare la potenza dell’arte, la sua capacità di trascendere il tempo e lo spazio, di parlare anche dopo che la voce dell’autore si è spenta.
I versi di Giorgio Manganelli offrono una riflessione profonda e toccante sulla condizione dell’artista e sul ruolo dell’arte nella vita umana. La richiesta di perdono non per se stesso, ma per il suo canto, rivela un desiderio disperato di immortalità, non personale, ma artistica. La poesia diventa così un mezzo per sfuggire alla “gabbia” della mortalità, un tentativo di trovare una forma di eternità attraverso la creazione artistica. In questa prospettiva, l’arte assume una dimensione quasi sacra, diventando un ponte tra l’umano e il divino, tra il temporale e l’eterno.
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