Una frase di Giorgio Manganelli sulle abbuffate a Natale

25 Dicembre 2024

Ecco un estratto di una lettera che Giorgio Manganelli spedisce al fratello Renzo, raccontando, con tono divertente, quanto gli piaccia mangiare a Natale.

Una frase di Giorgio Manganelli sulle abbuffate a Natale

Giorgio Manganelli, tra le penne più brillanti e originali del Novecento italiano, riesce, anche in una lettera privata, a condensare ironia, profondità e autoironia con una scrittura vivace e inconfondibile. Nella lettera indirizzata al fratello Renzo, Manganelli narra il suo modo di vivere il Natale, raccontando con umorismo e una verve quasi teatrale il rapporto, decisamente intenso, che coltiva con il cibo durante le feste natalizie.

Ma pensate dunque: io vengo a Torino, comincio a mangiare appena scendo di macchina, mi interrompo di regola solo per dormire, e dormo di regola solo per riposare le spossate mascelle, mangio polli, bistecche, antipasti, antipasti, arrosti, polli, bistecche, polli e antipasti, cospargo di strati di ossi, cartilagini, briciole l’intero appartamento.

Muovo lo sguardo ottuso solo per riconoscere la posizione del vino sulla tavola, uso matite solo per disegnare piante che mi permettano di trovare cibi e bevande a ogni ora del giorno e della notte; vivo una vita articolata su letto, tavolo, cesso; mi lavo nei rari momenti in cui non digerisco qualcosa; non basta: mi si dà una bottiglia di cognac. Che faccio? La porto a Roma, la stappo, la bevo (sguardo sempre ottuso, e insieme lievemente allucinato).

 

Giorgio Manganelli e i suoi programmi per il pranzo di Natale

Con tono esagerato e divertito, l’autore si presenta come un personaggio quasi caricaturale: un mangiatore instancabile che si aggira tra tavola, cucina e bottiglie, vivendo una routine semplificata e dominata dal puro piacere gastronomico. Ma dietro il comico e l’assurdo si cela una riflessione più profonda sui rituali e sul significato del cibo nelle festività.

Il cuore del racconto di Manganelli è il cibo: polli, bistecche, arrosti, antipasti si susseguono a ritmo frenetico in una parodia esagerata di voracità. La ripetitività volutamente ridondante del menù – con polli e bistecche ripetuti più volte – non è solo un espediente comico, ma riflette anche la natura festosa e abbondante delle celebrazioni natalizie, dove l’eccesso e la convivialità intorno al cibo sono al centro del rito.

Manganelli non si limita a raccontare cosa mangia, ma crea un intero universo orbitante intorno alla tavola. Le briciole, le ossa e le cartilagini che “cospargono l’appartamento” rappresentano una sorta di caos alimentare, una metafora scherzosa del Natale inteso come sovversione delle regole quotidiane. Durante le feste, le abitudini ordinarie vengono sospese e il piacere si trasforma nell’unica regola dominante.

Attraverso il suo racconto esagerato, Manganelli costruisce un’immagine di sé che abbraccia completamente l’esperienza del cibo. Descrive il sonno non come necessità biologica ma come un intervallo finalizzato a far riposare le mascelle, enfatizzando la sua dedizione assoluta al piacere culinario. Il dettaglio del “disegnare piante” per rintracciare cibo e bevande è particolarmente divertente, quasi fosse il piano strategico di un esploratore gastronomico.

Ma non si tratta solo di mangiare: lo sguardo che si fa “ottuso” e “lievemente allucinato” aggiunge un tocco quasi surreale al quadro. Il rapporto con il cibo diventa qualcosa di estatico, un momento in cui corpo e mente si fondono in una celebrazione di gusti e sapori. Questa esperienza del cibo come immersione totale è profondamente umana e universale, capace di far risuonare il lettore con le proprie esperienze conviviali.

L’ironia di una vita semplificata: La scrittura per esorcizzare la tristezza

La routine che Manganelli descrive – “letto, tavolo, cesso” – sembra una riduzione grottesca dell’esistenza, ma in realtà riflette con umorismo una realtà comune delle feste natalizie. Durante le vacanze, il tempo sembra rallentare, la quotidianità si trasforma, e tutto ruota attorno al cibo, ai momenti condivisi e a un certo abbandono ai piaceri immediati.

La descrizione dell’autore di sé stesso come un individuo quasi animalesco che segue i suoi istinti, ignorando convenzioni e normalità, rende il tono della lettera irresistibilmente comico e autoironico. È come se Manganelli si prendesse in giro, consapevole dell’eccesso delle sue descrizioni, e al tempo stesso invitasse il lettore a ridere con lui.

Il tono della lettera, per quanto esilarante e iperbolico, suggerisce anche un significato più profondo: il ruolo centrale del cibo come collante sociale e familiare. Attraverso la convivialità dei pasti natalizi, le distanze si accorciano e si celebra il calore della comunità. La figura del fratello Renzo, destinatario della lettera, è un elemento implicito di questa convivialità: pur essendo separati fisicamente, l’autore lo coinvolge in uno scambio affettuoso e scherzoso che celebra l’essenza del Natale come momento di unione.

Nonostante il tono allegro e leggero, si può avvertire nella lettera un’eco di nostalgia. Le feste di Natale, con i loro rituali e la loro abbondanza, spesso richiamano l’infanzia e i ricordi legati alla famiglia. Nel descrivere sé stesso come un mangiatore instancabile e felice, Manganelli sembra evocare il desiderio di immergersi completamente in un momento di spensieratezza e calore che solo il Natale può offrire.

La lettera di Giorgio Manganelli a suo fratello Renzo non è soltanto un racconto buffo su pasti luculliani e tavole abbondanti: è un ritratto affettuoso e universale dello spirito natalizio. Attraverso l’ironia e l’esagerazione, Manganelli celebra il piacere del cibo e la gioia della convivialità, ricordandoci che il Natale è un’occasione per lasciarsi andare ai piccoli e grandi piaceri della vita, per rallentare, ridere di sé stessi e rafforzare i legami con le persone amate. E, come ci mostra la sua scrittura, nulla è più caloroso e universale del condividere un buon pasto durante le feste.

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