Per capire veramente una persona, spesso dovremmo andare oltre le parole che ci vengono dette e “ascoltare” qualcos’altro. E’ questo il segreto per comprendere la vera essenza dell’animo umano secondo Umberto Eco; un concetto ben sintetizzato in questa frase tratta dal libro “Il nome della rosa“.
“Lascia parlare il tuo cuore, interroga i volti, non ascoltare le lingue”
Attenzione e ascolto profondo
La frase di Umberto Eco è un invito a indagare la realtà e le relazioni in cui siamo coinvolti, senza lasciarsi sopraffare dall’insicurezza delle parole, a volte ambigue a volte confuse. Dialogare con chi ci sta accanto necessita di presenza e attenzione, di ascolto profondo, di osservazione sincera.
Non basta sentire le parole: occorre ascoltare non solo le frasi che ci vengono dette, ma osservare anche il linguaggio del corpo, il volto del nostro interlocutore: spesso uno sguardo particolare, un sorriso rassicurante, un espressione facciale particolare possono comunicare molto di più rispetto ad una semplice frase.
Per poter davvero capire il messaggio che qualcuno ci sta inviando e per poter dire davvero ciò che vogliamo dire è necessario mettersi in contatto con i propri sentimenti più profondi, abbandonare qualsiasi preconcetto e affidarsi al qui e ora, ad una partecipazione attiva nell’ascolto di sé e degli altri.
Solo così saremo in grado di vedere ciò che sta accadendo e di liberarci di tutte le sovrastrutture che deformano il nostro sguardo e in generale la nostra percezione dell’altro.
Andare oltre le parole dette
Ciò che vuole sottolineare Umberto Eco con questo aforisma è che la comunicazione non consiste solo in ciò che viene detto; è comunicazione anche un’espressione facciale, uno sguardo diretto o abbassato, la postura del corpo. Dopo aver analizzato il proprio io interiore ed essere stati spontanei e diretti con il proprio interlocutore, occorre rintracciare in quest’ultimo qualsiasi altro tipo di messaggio che egli può manifestare nei nostri confronti oltre a ciò che può proferire dalla sua bocca.
Solo così si può avere una comunicazione autentica, completa, comprendere gli altri dopo essere riusciti a comprendere se stessi. Le parole sono importanti, ma anche tutto ciò che avviene durante un dibattito tra una o più persone risulta fondamentale, e addirittura può contenere maggiori informazioni utili rispetto a quanto viene affermato a voce.
Umberto Eco
Umberto Eco non ha bisogno di presentazioni. E’ di certo tra gli intellettuali italiani più importanti di tutti i tempi. Filosofo, semiologo, scrittore, traduttore e medievalista, ha scoperto i talenti letterari più interessanti degli ultimi 40 anni, tra cui è doveroso ricordare Pier Vittorio Tondelli.
Il nome della rosa
La frase scelta è contenuta all’interno del primo romanzo di Umberto Eco: “Il nome della rosa” è un incrocio di diversi generi, tra i quali il giallo storico, il giallo a enigma, il romanzo storico e il romanzo filosofico. Ambientato nel 1327 in un monastero benedettino tra le montagne dell’Italia settentrionale, racconta le indagini di Guglielmo da Baskerville, un frate francescano inglese, e del suo allievo Adso da Melk sulla morte misteriosa del giovane confratello Adelmo.
Il romanzo contiene riferimenti storici, filosofici, investigazioni scientifiche e riferimenti letterari. Il nome della rosa è un concentrato di generi. Una forte simbologia caratterizza l’opera, a partire dal titolo, che rimanda a uno dei temi centrali: ogni cosa scompare, quel che resta è solo il nome, come la biblioteca e i libri di quel monastero, inghiottiti dal fuoco ma non dalla memoria.
Il “nome della rosa”, oltretutto, altro non sarebbe che il nome della ragazza con cui Adso intrattiene occasionalmente le sue notti; nel romanzo ella è infatti l’unico personaggio il cui nome viene taciuto. L’incontro amoroso rappresenta l’evento centrale della vita del giovane monaco e, non a caso, esso è situato esattamente al centro del racconto.