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Una frase di Italo Calvino sulla consapevolezza di sentirsi incompleti

A spiegare bene cosa significa sentirsi consapevolmente incompleti è Italo Calvino in una sua celebre frase tratta dal libro "Il visconte dimezzato".

Spesso nel corso delle diverse tappe della vita può capitare di sentirsi incompleti, insoddisfatti, inadeguati. Riflettendoci, però, questa situazione non è altro che una tappa indispensabile per la crescita e la maturità della persona. A ben spiegare questo concetto è stato Italo Calvino in una sua celebre frase tratta dal libro “Il visconte dimezzato“.

“Alle volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane”

Sapersi incompleti per sentirsi se stessi

Con questa frase, il narratore de “Il visconte dimezzato”, nipote del visconte, ancora ragazzino, descrive la sua condizione di individuo che non ha ancora gli strumenti per capire a pieno la realtà che lo circonda, e questo disagio lo fa sentire in difetto col mondo, quando in realtà è ben fisiologico in tenera età non avere i mezzi per comprendere il mondo adulto.

Quante volte capita a tutti noi di non sentirci in sintonia con la realtà che ci circonda, come se ci mancasse qualcosa per essere capiti e per capire? certe volte è la nostra maturità ad essere manchevole, altre volte non ci accorgiamo che la realtà è più complessa di quanto immaginiamo e che comprende idee e prospettive che prima non contemplavamo nemmeno, ma che sono necessarie per strutturare la complessità della realtà

Ma cosa intendeva davvero Italo Calvino? Cosa è l’essere dimezzato e incompleto all’interno del romanzo “Il visconte dimezzato”?

Il visconte dimezzato e il significato della frase

Il romanzo si apre con una divisione fisica, il visconte Medardo di Terralba mentre combatte una guerra contro i musulmani prende in pieno petto una palla di cannone, che lo divide esattamente in due, ma contro ogni aspettativa e grazie ad un sapiente e, diremmo magico, lavoro da parte dei medici, entrambe le parti sopravvivono, apparentemente una cattiva e una buona.

La parte cattiva riesce subito a tornare a Terralba, nel proprio castello, mentre la seconda tornerà in un secondo momento.

Ecco che qua abbiamo bisogno di un occhio critico più profondo e perspicace, oppure, affidarci alle parole dello stesso Calvino, perché quella divisione non ha sancito la parte buona e la parte cattiva dell’uomo, ma ha evidenziato la parzialità di ogni idea e di ogni posizione, con la sola differenza che nell’uomo comune, diciamo, “intero”, questa parzialità non è palese, mentre nel visconte dimezzato si evidenzia direttamente nella sua parzialità fisica.

Ma andiamo oltre. A ben vedere anche gli altri personaggi del romanzo sono parziali, dimezzati, come ad esempio il medico, dottor Trelawney,  che ha paura del sangue umano, rifugge da ogni intervento medico, che riguardi l’uomo e dedica il suo tempo ad analizzare i fenomeni naturali e soprannaturali.

O il falegname Mastro Pietrochiodo, maestro assoluto nella sua arte a cui però viene chiesto di costruire solamente macchine di morte, come patiboli o ghigliottine, costringendolo così a dimezzarsi, a non pensare ai fini delle sue opere, fare senza pensare.

Ecco, non è questa una fotografia del nostro tempo? Non siamo tutti noi dimezzati tra quello che vorremmo essere e potremmo essere, e quello che la società ci impone di essere, spesso alienandoci e mortificandoci.

Potremmo dire, parafrasando indegnamente Italo Calvino: “Alle volte uno si crede incompleto e semplicemente non è sé stesso”

Italo Calvino

Italo Giovanni Calvino nacque il 15 ottobre 1923 a Santiago de Las Vegas, una località vicino a L’Avana, a Cuba, dove suo padre, Mario Calvino, lavorava come agronomo. La madre, Eva Mameli, era una botanica di grande prestigio. La famiglia si trasferì in Italia quando Calvino aveva solo due anni, stabilendosi a Sanremo, una città ligure sulla costa occidentale del paese.

Dopo la guerra, Calvino si iscrisse all’Università di Torino, dove studiò lettere e, successivamente, si laureò con una tesi su Joseph Conrad. Qui incontrò figure di spicco del panorama culturale italiano, come Cesare Pavese e Elio Vittorini, e iniziò a collaborare con la casa editrice Einaudi, per cui lavorò per gran parte della sua carriera.

Il suo primo romanzo, “Il sentiero dei nidi di ragno” (1947), è una rappresentazione della Resistenza vista attraverso gli occhi di un bambino. Questo lavoro lo inserisce nel movimento neorealista, che cercava di riflettere la realtà sociale e politica dell’Italia post-bellica.

Negli anni ’50, Calvino cominciò a distaccarsi dal neorealismo per esplorare forme narrative più sperimentali e fantastiche. Tra il 1952 e il 1956, pubblicò la trilogia dei “Nostri antenati”, composta da “Il visconte dimezzato” (1952), “Il barone rampante” (1957) e “Il cavaliere inesistente” (1959).

Negli anni ’60 e ’70, Calvino approfondì la sua riflessione sulla complessità della realtà e sulla potenza della narrazione attraverso opere come “Le cosmicomiche” (1965) e “Le città invisibili” (1972). Parallelamente, Calvino si interessò alla letteratura combinatoria e alla sperimentazione formale, influenzato dai suoi contatti con il gruppo francese dell’Oulipo (Ouvroir de Littérature Potentielle). Questo interesse culminò in opere come “Se una notte d’inverno un viaggiatore” (1979).

Calvino morì il 19 settembre 1985 a Siena, in seguito a un’emorragia cerebrale. La sua morte fu una grande perdita per la letteratura italiana e internazionale, ma la sua eredità rimane viva attraverso le sue opere, che continuano a ispirare lettori e scrittori in tutto il mondo.

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