Ci sono parole eterne che nascono da menti dotte, illuminate, geniali. Parole che non appartengono soltanto al loro tempo, ma continuano a parlare all’uomo di ogni epoca, soprattutto nei momenti di crisi. Tra queste, una frase di Dante Alighieri riesce a offrire il giusto stimolo per risvegliare la più potente arma che ogni essere umano porta dentro di sé: la volontà.
È quella forza silenziosa che permette di affrontare il buio dell’esistenza, i dolori della vita, le cadute e le perdite, trasformando la sofferenza in cammino.
Ma leggiamo ora la frase di Dante per scoprirne la grande forza motivazionale:
Per correr miglior acque alza le vele
omai la navicella del mio ingegno,
che lascia dietro a sé mar sì crudele;e canterò di quel secondo regno
dove l’umano spirito si purga
e di salire al ciel diventa degno.
La parafrasi dei versi di Dante racconta che
la navicella del suo ingegno ormai alza le vele per correre acque migliori e lascia dietro di sé il mare crudele dell’Inferno; e che canterà di quel secondo regno, il Purgatorio, dove l’anima umana si purifica e diventa degna di salire al cielo.
Il contesto della frase di Dante Alighieri
Questa frase di Dante si trova nel Proemio del Purgatorio, la seconda cantica della Divina Commedia, opera universale e patrimonio dell’umanità, pubblicata per la prima volta nel 1321.
Dante e la sua guida, Virgilio, sono appena riemersi in superficie dopo aver attraversato l’intero abisso dell’Inferno. Non si trovano più sotto terra, nell’aria “morta” e buia dei dannati, ma all’aperto, su una spiaggia sconosciuta dell’emisfero australe: ai piedi della montagna del Purgatorio.
È l’alba di domenica, precisamente del 10 aprile (o 27 marzo) del 1300: il giorno di Pasqua, simbolo per eccellenza della rinascita e della resurrezione. Dopo giorni passati nel buio eterno, Dante rivede finalmente la luce del sole e il colore del cielo. Pochi versi dopo lo descriverà come “dolce color d’oriental zaffiro”, immagine di purezza e serenità.
È un momento di sollievo indescrivibile. L’angoscia, il terrore e l’orrore dell’Inferno, il “mar sì crudele”, sono ormai alle spalle.
Il Purgatorio è il regno della speranza, dell’attesa attiva e della trasformazione interiore. L’atmosfera non è più di disperazione, ma di fiducia e di luce. È il primo respiro di un’aria nuova, la boccata di vita dopo la soffocante oscurità del dolore.
È il punto esatto in cui la disperazione finisce e l’anima, come la navicella di Dante, ritrova la rotta del benessere.
Il significato profondo della frase: la volontà come forza della rinascita
Con i versi d’esordio del Canto I del Purgatorio, Dante non racconta solo un passaggio fisico da un luogo all’altro, ma una trasformazione interiore.
L’uscita dall’Inferno segna la fine di un tempo oscuro e l’inizio di una fase nuova, dove l’essere umano può finalmente respirare e ritrovare sé stesso. Il poeta descrive il momento esatto in cui la vita rinasce dopo la paura, quando l’anima, come una piccola nave, torna a muoversi, a cercare un orizzonte più sereno.
La “navicella del mio ingegno” è la mente, la coscienza, ma anche il cuore che ricomincia a pensare, a desiderare, a credere.
Dante sente di poter “correr miglior acque”, cioè di affrontare con coraggio un mare diverso: non più quello crudele del dolore e della dannazione, ma quello limpido della speranza. Il Purgatorio è il luogo dove l’uomo si rialza, dove l’errore non è più condanna, ma possibilità di cambiamento.
Il Purgatorio è il luogo dove l’uomo si rialza, dove l’errore non è più condanna, ma possibilità di cambiamento.
E quando Dante aggiunge
e canterò di quel secondo regno
dove l’umano spirito si purga
e di salire al ciel diventa degno.
Il sommo poeta svela l’obiettivo profondo di questo nuovo viaggio: non solo allontanarsi dal male, ma tendere verso un bene più alto. È la dichiarazione di un cammino di purificazione, di liberazione dal peso del passato, dove l’anima riconquista la sua dignità più autentica.
Questa è la vera rinascita che Dante racconta, non solo il ritorno alla vita, ma il desiderio di elevarsi, di diventare degni della luce, della pace, del cielo.
In questa immagine c’è tutta la fiducia dantesca nell’essere umano. La convinzione che anche dopo il buio più profondo si possa ripartire, purché si scelga di alzare le vele e tornare a navigare verso la luce.
L’alba del Purgatorio: la rinascita della mente e dello spirito
Nei versi della Divina Commedia successivi, Dante rafforza il senso di rinascita con immagini luminose e pure. Il cielo, per la prima volta dopo il buio infernale, torna a tingersi di un colore che sa di pace:
Dolce color d’oriental zaffiro,
che s’accoglieva nel sereno aspetto
del mezzo, puro infino al primo giro.
Questa terzina contiene una sensazione quasi fisica di benessere. Il “color d’oriental zaffiro” è il blu chiaro del mattino, simbolo della purezza ritrovata e del contatto con la luce.
Dante non vede solo il cielo, ma ritrova la capacità di guardare, di lasciarsi attraversare dal bello. È il primo segno che la mente si è liberata dal peso della paura.
Subito dopo, invoca le Muse con parole che confermano il ritorno dell’ispirazione e della lucidità:
Ma qui la morta poesì resurga,
o sante Muse, poi che vostro sono;
e qui Calliopea alquanto surga.
La poesia, che era “morta” nell’oscurità dell’Inferno, risorge come l’anima umana che ritrova la forza di creare, di pensare, di dare senso alle cose. Non è un caso che Dante chieda alle Muse di rialzarsi con lui, l’intelligenza e la bellezza sono parte dello stesso movimento di rinascita.
Il cielo delle virtù e la nuova legge dell’anima
Poco dopo, il poeta alza lo sguardo e vede quattro stelle “non viste mai fuor ch’a la prima gente”:
Le quattro stelle rappresentano, secondo la tradizione, le virtù cardinali, prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, che orientano l’essere umano dopo il disordine infernale.
È il primo contatto di Dante con un mondo ordinato, guidato da leggi morali e spirituali, dove la libertà non è più arbitrio ma armonia.
Infine, l’incontro con Catone d’Utica, simbolo della libertà e della fermezza morale, chiude il cerchio:
Vidi presso di me un vegliardo solo,
degno di tanta reverenza in vista,
che più non dee a padre alcun figliuolo.
Catone incarna la meta di ogni percorso umano: la libertà interiore.
Libertà va cercando, ch’è sì cara,
come sa chi per lei vita rifiuta.
In lui, Dante vede la sintesi di tutto ciò che il Purgatorio rappresenta, ovvero la purificazione attraverso la scelta, la consapevolezza che la libertà ha un prezzo ma coincide con la dignità del vivere.
Il ritratto della rinascita umana
Tutta questa prima parte del canto è un ritratto della rinascita umana. Dante, dopo aver attraversato il dolore, scopre che la vera salvezza non è una fuga dal male, ma la capacità di trasformarlo in conoscenza e in cammino. Il cielo, la luce, le stelle, la poesia, la libertà: ogni immagine è una tappa dell’evoluzione interiore.
E il verso iniziale, “Per correr miglior acque alza le vele…”, è la chiave che apre tutto: la decisione di ripartire, di rimettere in moto la propria coscienza e orientarla verso la luce.
È da qui che nasce la lezione universale di Dante, quella che, nella parte successiva, ci parla ancora oggi di come ritrovare equilibrio e serenità.
La lezione contemporanea della frase di Dante Alighieri
Nella frase che apre il Purgatorio, Dante Alighieri racchiude una verità che attraversa i secoli. Ogni essere umano, prima o poi, si trova a navigare in acque tempestose: un dolore, una perdita, un momento di smarrimento, una crisi che sembra chiudere ogni via d’uscita.
Ma proprio come il poeta all’inizio del Purgatorio, arriva sempre un istante in cui si può scegliere di alzare di nuovo le vele, di ripartire, di lasciare alle spalle il “mare crudele” del passato.
Seguendo la lezione di Dante, questa scelta non è facile, né immediata, bisogna purtroppo addentrarsi e attraversare l'”Inferno” ed uscirne nella convinzione di arrivare alla “spiaggia” del “Purgatorio” per poi proseguire dritto e spedito verso il “Paradiso”.
Non è una cammino facile, ma serve un atto di volontà profonda, un gesto che nasce dal desiderio di ritrovare la direzione dopo il disordine, di tornare verso la luce quando tutto sembra perduto. La sua barca non è una grande nave: è “una navicella, fragile ma viva”, simbolo della mente umana, che può riprendere il viaggio anche dopo la tempesta. È l’immagine perfetta di chi, pur ferito, sceglie di non arrendersi.
Dante ci insegna che la vera rinascita non è un miracolo, ma una conquista quotidiana. Significa accettare il proprio limite, riconoscere il dolore, ma decidere di non restarvi prigionieri. Significa, come scrive poco dopo, invocare che “la morta poesì resurga”. Bisogna impegnarsi nel far risorgere dentro di sé la parte più creativa, vitale, spirituale, quella che la sofferenza aveva messo a tacere.
In questo senso, la frase di Dante è di una modernità sorprendente. Non parla di fede soltanto come salvezza ultraterrena, ma come movimento interiore dell’uomo che sceglie di ricominciare. La “volontà” di cui parla non è la forza di chi domina, ma la consapevolezza di chi si rimette in cammino. È la volontà di chi non si lascia più trascinare dalle correnti del male di vivere, ma trova in sé la rotta verso acque più limpide.
Dante Alighieri, dunque, ci ricorda che stare bene non significa non cadere mai, ma sapersi rialzare, trasformando la fatica in consapevolezza e la paura in energia. Ogni rinascita comincia da un gesto, che magari richiede fatica, ma bisogna pur tentare di “alzare le vele”.