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Una geniale frase d’amore di William Shakespeare contro i pregiudizi e gli stereotipi

Cos'è un nome? William Shakespeare attraverso una frase d'amore e la metafora della rosa ci dona una grande lezione sull'identità e l'appartenenza.

C’è un’opera di William Shakespeare che possiamo considerare universale. Parliamo di Romeo e Giulietta, forse la storia d’amore più famosa e citata, un libro che è riuscito a conquistare il cinema, il teatro, persino la pubblicità. 

Romeo e Giulietta è un’opera senza tempo, una tragedia composta tra il 1594 e il 1956, che ci fa capire perché William Shakespeare viene denominato il “Bardo” ed è considerato il più eminente drammaturgo della cultura occidentale. 

Scegliere un a frase d’amore in quest’opera è diffcile, ma c’è ne una di grandissimo significato.

Cos’è un nome? Ciò che chiamiamo rosa, con qualsiasi altro nome avrebbe lo stesso profumo, così Romeo, se non si chiamasse più Romeo, conserverebbe quella rara perfezione che possiede anche senza quel nome. Romeo, getta via il tuo nome, e al suo posto, che non è parte di te, prendi tutta me stessa.

La frase, che nell’opera di Shakespeare viene pronunciata da Giulietta è collocata nell’Atto II, Scena II del libro e può essere ritenuta rivoluzionaria, perché dona un’importante riflessione sui pregiudizi e gli stereotipi che si formano per una costruzione sbagliata del processo dell’identità e dell’appartenenza sociale. 

William Shakespeare mette in scena i danni dei pregidizio e degli stereotipi

Leggendo questa parte del libro Romeo e Giulietta, si può apprezzare il famoso monologo di Giulietta, alla finestra del suo balcone, con Romeo che assiste nascosto le stupende parole della sua amata. 

O Romeo, Romeo! Perché sei tu Romeo? Rinnega tuo padre; e rifiuta il tuo nome: o, se non vuoi, legati solo in giuramento all’amor mio, ed io non sarò più una Capuleti.

William Shakespeare attraverso il monologo amoroso più famoso della letteratura mondiale, tocca un tema di grande contemporaneità. L’identità sociale e l’appartenza culturale possono generare discriminazione e contrapposizione. 

“Il Bardo” inglese evidenzia come in nome dell’identità di genere, culturale, territoriale, persino sportiva si è disposti a odiare il prossimo, a fare del male agli altri, a discriminare chi è diverso. 

In nome dell’Identità e dell’appartenenza la storia ci racconta che sono avvenuti dei genocidi. E molte delle guerre che vivono il Pianeta sono motivate da questi concetti.

Quel nome di Romeo Montecchi, afferma Shakespeare attraverso le meravigliose parole di Giulietta Capuleti, non può in nessun modo rendere possibile la loro relazione. Anzi, mette addirittura a rischio la loro vita, come si evince dal finale dell’opera.

Tutto il libro è basato su questo tema, ma in questo passaggio, Giulietta sembra prevenire le tragiche conseguenze di quell’amore a causa proprio della contrapposizione identitaria delle due “fazioni”

La stessa Giulietta è intrisa di quella cultura, di quelle malsane convinzioni, è tangibile dalle parole che afferma

Il tuo nome soltanto è mio nemico: tu sei sempre tu stesso, anche senza essere un Montecchi. Che significa “Montecchi”? Nulla: non una mano, non un piede, non un braccio, non la faccia, né un’altra parte qualunque del corpo di un uomo. Oh, mettiti un altro nome! 

Un semplice nome è la causa di tutto. L’identità familiare dei due amanti motiva un odio acerrimo che genera morte e distruzione.

La frase di Giulietta citata appena sopra anticipa il quesito “Cos’è un nome?”. Giulietta non sa che Romeo la sta ascoltando, quindi è una preghiera che rivolge indirettamente al suo amante. 

E come tante preghiere che trovano una risposta, in nome dell’amore Romeo, esce dal suo nascondiglio e risponde a Giulietta accettando di rinunciare alla propria identità, al suo nome.

Io ti piglio in parola: chiamami soltanto amore, ed io sarò ribattezzato; da ora innanzi non sarò più Romeo.

Solo l’amore può combattere il pregiudizio

In nome di un’appartenenza ritenuta “superiore” si può arrivare anche ad uccidere, una follia assoluta che purtroppo spesse volte la cronaca dei media ci fa percepire come evidente. 

Le qualità di una persona non possono essere giudicate semplicemente in base alla sua appartenenza e alla sua identità. Giulietta attraverso la metafora della “Rosa” rende manifesto questo concetto. 

“Ciò che chiamiamo rosa, con qualsiasi altro nome avrebbe lo stesso profumo…conserverebbe quella rara perfezione che possiede anche senza quel nome”. 

Un pensiero che dovrebbe essere la regola. Purtroppo, però,  ancora oggi appare “straordinario”. Non abbiamo imparato nulla da questa grande tragedia senza tempo. 

Il genio di William Shakespeare alla fine del XVI secolo aveva già interpretato come l’identità sociale e l’appartenenza culturale possono generare danni e barbarie. La sua opera emana tolleranza, comprensione, ascolto dell’altro, amore.

il male che corrompe gli esseri umani, ovvero l’odio, nasce da una chiusura nei confronti da chi è diverso da noi. Questi fa paura, crea tensione, genera insicurezza, rende instabili le convinzioni condivise. 

Facciamo attenzione questo vale per tutti nessuno escluso. Vale per chi ospita e per chi arriva. Vale per qualsiasi parte politica. Vale per qualsiasi religione o fazione ideologica.

Questa frase assume il suo massimo significato non solo nell’amore di coppia, ma, quale principio di “amore universale”. Troviamo in queste parole in Cristo, Rumi, Siddhartha , Confucio, Gandhi, ovvero tutti quei grandi pensatori illuminati, il cui pensiero è diventato religione, dottrina, partecipazione.

Il Bardo inglese può essere a nostro avviso inquadrato tra i grandi illuminati di tutti i tempi. Le sue opere dovrebbero essere lette, spiegate, diventare oggetto di discussione a scuola fin in tenera età. 

Questo potrebbe aiutare a combattere l’odio, la discrimanazione, la guerra. 

La scena in cui si svolge il monologo di Giulietta e la risposta che dà Romeo

Atto secondo – Scena Seconda – Giardino dei Capuleti

(Entra Romeo)

Romeo: Ride delle cicatrici, chi non ha mai provato una ferita.

(Giulietta appare ad una finestra in alto)

Ma, piano! Quale luce spunta lassù da quella finestra? Quella finestra è l’oriente e Giulietta è il sole! Sorgi, o bell’astro, e spengi la invidiosa luna, che già langue pallida di dolore, perché tu, sua ancella, sei molto più vaga di lei. Non esser più sua ancella, giacché essa ha invidia di te. La sua assisa di vestale non è che pallida e verde e non la indossano che i matti; gettala. E’ la mia signora; oh! è l’amor mio!
oh! se lo sapesse che è l’amor mio! Ella parla, e pure non proferisce accento: come avviene questo? E’ l’occhio suo che parla; ed io risponderò a lui. Ma è troppo ardire il mio, essa non parla con me:
due fra le più belle stelle di tutto il cielo, avendo da fare altrove, supplicano gli occhi suoi di voler brillare nella loro sfera, finché esse abbian fatto ritorno. E se gli occhi suoi, in questo momento, fossero lassù, e le stelle fossero nella fronte di Giulietta? Lo splendore del suo viso farebbe impallidire di vergogna quelle due stelle, come la luce del giorno fa impallidire la fiamma di un lume; e gli occhi suoi in cielo irradierebbero l’etere di un tale splendore che gli uccelli comincerebbero a cantare, credendo finita la notte.
Guarda come appoggia la guancia su quella mano! Oh! foss’io un guanto sopra la sua mano, per poter toccare quella guancia!

Giulietta: Ohimè!

Romeo: Essa parla. Oh, parla ancora, angelo sfolgorante! poiché tu sei così luminosa a questa notte, mentre sei lassù sopra il mio capo come potrebbe esserlo un alato messaggero del cielo agli occhi stupiti dei mortali, che nell’alzarsi non mostra che il bianco, mentre varca le pigre nubi e veleggia nel grembo dell’aria.

Giulietta: O Romeo, Romeo! Perché sei tu Romeo? Rinnega tuo padre; e rifiuta il tuo nome: o, se non vuoi, legati solo in giuramento all’amor mio, ed io non sarò più una Capuleti.

Romeo (fra sé)

Starò ancora ad ascoltare, o rispondo a questo che ha detto?

Giulietta: Il tuo nome soltanto è mio nemico: tu sei sempre tu stesso, anche senza essere un Montecchi. Che significa “Montecchi”? Nulla: non una mano, non un piede, non un braccio, non la faccia, né un’altra parte qualunque del corpo di un uomo. Oh, mettiti un altro nome! Che cosa c’è in un nome? Quella che noi chiamiamo rosa, anche chiamata con un’altra parola avrebbe lo stesso odore soave; così Romeo, se non si chiamasse più Romeo, conserverebbe quella preziosa perfezione, che egli possiede anche senza quel nome. Romeo, rinunzia al tuo nome, e per esso, che non è parte di te, prenditi tutta me stessa.

Romeo: Io ti piglio in parola: chiamami soltanto amore, ed io sarò ribattezzato; da ora innanzi non sarò più Romeo.

Giulietta: Chi sei tu che, così protetto dalla notte, inciampi in questo modo nel mio segreto?

Romeo: Con un nome io non so come dirti chi sono. Il mio nome, cara santa, è odioso a me stesso, poiché è nemico a te: se io lo avessi qui scritto, lo straccerei.

Giulietta: L’orecchio mio non ha ancora bevuto cento parole di quella voce, ed io già ne riconosco il suono. Non sei tu Romeo, e un Montecchi?

Romeo: Né l’uno né l’altro, bella fanciulla se l’uno e l’altro a te dispiace.

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