In questi versi di Dylan Thomas, tratti dalla poesia “I see the boys of summer” (nella traduzione italiana: “Vedo i ragazzi dell’estate”), si avverte un’intensa commistione di sensualità e mistero, una tensione quasi mitologica tra corpo e natura, tra giovinezza e destino. Il poeta gallese ci presenta la figura dei “ragazzi dell’estate”, creature al confine tra l’umano e l’archetipo, incarnazioni della giovinezza, dell’energia, della potenzialità ancora in fase germinale ma già carica di futuro, che pulsa sotto la pelle come la linfa sotto la corteccia di un albero giovane.
Dylan Thomas sulle tracce di Eliot
“Da questi ragazzi m’accorgo che uomini da nulla
Per movimenti ricchi di semi germoglieranno,”
Già questi due versi iniziali sono densi di una visione ambigua e affascinante. I ragazzi dell’estate non sono ancora uomini, non sono ancora “qualcuno”, sono “da nulla”, ovvero forse anonimi, comuni, non ancora formati. Eppure, osservandoli, il poeta “si accorge” che quei corpi in movimento contengono “semi”: la metafora agricola è potente e suggestiva, perché ci ricorda che nella terra dormono potenzialità invisibili, che attendono il calore e il tempo per sbocciare. I “movimenti ricchi di semi” alludono non solo alla forza vitale, ma anche alla sessualità implicita nei gesti giovanili, inconsapevoli del loro carico simbolico. La giovinezza è qui raffigurata come una promessa in atto, una stagione fertile che germoglia anche nel vuoto apparente.
“O azzopperanno l’aria dai suoi calori balzando;”
In questo verso centrale si introduce un’immagine ambivalente: da un lato il salto vitale, atletico, acrobatico della giovinezza – la forza muscolare del corpo in slancio – dall’altro l’effetto di questo movimento sull’ambiente, sull’“aria”. Il verbo “azzopperanno” è straordinariamente potente: suggerisce un danno, una menomazione. È come se l’irruenza vitale dei ragazzi non fosse solo forza creativa ma anche distruttiva, come se la natura stessa – l’aria, il calore, l’estate – ne uscisse ferita o modificata. Il salto che rompe, che lacera, che lascia una traccia: la giovinezza come forza che plasma, ma anche che consuma. L’immagine suggerisce che nulla può restare intatto dopo il passaggio di quella vitalità, nemmeno il clima, nemmeno l’aria.
“Laggiù nei loro cuori il palpito canicolare
D’amore e luce esplode nelle loro gole.”
Qui Thomas ci porta al cuore pulsante del suo canto: il “palpito canicolare” – un ritmo interno, viscerale, profondo, legato al caldo estivo, alla canicola – si colloca nel cuore dei ragazzi, e poi sale, esplode, si libera nelle loro gole. È il respiro della vita, ma anche l’urlo della gioventù. L’energia amorosa e luminosa – “d’amore e luce” – è simultaneamente forza sessuale, spirituale, comunicativa. La gola è l’organo della voce, della parola, del canto: quindi qui si potrebbe anche leggere un’allusione poetica, alla poesia stessa come sbocco del fervore interiore. I ragazzi non parlano solo: “esplodono”. Sono l’esplosione stessa del desiderio, della passione, della trasformazione.
“Oh vedi il palpito, nel ghiaccio, dell’estate.”
Questo verso finale ha un tono quasi mistico. È un’esclamazione rivolta a un interlocutore implicito – forse noi lettori, forse il poeta stesso – in cui si invita a guardare il “palpito” dell’estate, ma nel “ghiaccio”. È un’immagine contraddittoria, ossimorica: il ghiaccio è l’opposto del calore, dell’estate, ma dentro quel freddo qualcosa palpita ancora, resiste, si muove. È un’immagine del tempo? Della memoria? Del desiderio che non si spegne? Si potrebbe anche leggere come una metafora della poesia stessa, che conserva nel gelo della forma (la pagina, il testo, l’inchiostro) il battito ancora vivo dell’esperienza. O come riflessione sulla natura ciclica del tempo e della giovinezza: il palpito estivo può sopravvivere persino nel cuore dell’inverno.
Dylan Thomas, poeta del corpo e dell’istinto, della carne e della luce, riesce in questa lirica a condensare molte delle sue ossessioni poetiche: la vita che sboccia dal nulla, l’energia creativa e distruttiva della giovinezza, l’ambiguità del desiderio, la voce che esplode, la memoria che conserva. I suoi “ragazzi dell’estate” sono come dèi in incognito, giovani promesse che non sanno ancora cosa saranno ma già incidono il mondo con la loro presenza. Thomas non li guarda con nostalgia, ma con ammirazione e un senso quasi tragico della loro forza passeggera. Sono immagini che si fissano nell’immaginario perché mescolano carne e simbolo, sensualità e pensiero, corpo e paesaggio.
In definitiva, questi versi ci offrono una riflessione profondamente lirica sul tempo e sul passaggio dall’infanzia all’età adulta, dal nulla alla forma, dall’estate al suo ricordo. Ma ciò che resta, alla fine, è proprio quel “palpito”: un battito vivo, caldo, ancora acceso nel ghiaccio del presente. E questa è forse la più alta aspirazione della poesia stessa.