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Che cos’è la timidezza? Una geniale frase di Pablo Neruda ci svela il significato

Scopri cosa significa convivere con la timidezza grazie ad una frase tratta dal libro "Confesso che ho vissuto".

Una frase di Pablo Neruda ci offre una spiegazione chiara e articolata di che cosa sia la timidezza. La frase è contenuta nel libro Confesso che ho vissuto (Confieso que he vivido) del poeta cileno pubblicato postumo nel 1974. Il libro è diviso in dodici quaderni, ognuno dei quali segna le diverse fasi della vita del grande poeta che conosciamo.

“La timidezza è una condizione strana dell’anima, una categoria, una dimensione che si apre verso la solitudine. È anche una sofferenza inseparabile, come se si avessero due epidermidi, e la seconda pelle interiore s’irritasse e contraesse di fronte alla vita. Fra le compagini umane, questa qualità o questo difetto fa parte di un insieme che costituisce nel tempo l’immortalità dell’essere.”

Una definizione di timidezza firmata Pablo Neruda

Questa frase di Neruda fa parte del Quaderno 2 di Confesso che ho vissuto, dal titolo Perduto nella città.  In questa sezione del libro Pablo Neruda racconta del periodo in cui si trasferisce a Santiago del Cile per frequentare l’Università.

Il secondo paragrafo di Perduto nella città è intitolato Timidezza dove il grande intellettuale cileno racconta di quando fin dall’adolescenza come “una specie di sordomuto”. Neruda in quel periodo soleva vestire di nero come i poeti dell’800 e seppur non fosse male fisicamente, aveva come il timore delle ragazze.

Una paura inconscia che lo portava a pensare che se si fosse avvicinato a qualche ragazza si sarebbe messo a balbettare e sicuramente ad arrossire davanti a loro. Ecco che come strategia per evitare questo quando vedeva qualche ragazza conosciuta si allontanava, o meglio fuggiva via, mostrando un falso disinteresse.

“Erano tutte un gran mistero per me. Io avrei voluto morire bruciato in quel rogo segreto, affogare in quel pozzo di enigmatica profondità, ma non avevo il coraggio di gettarmi nel fuoco o nell’acqua. E siccome non incontravo nessuno che mi desse uno spintone, passavo sull’orlo del loro fascino, senza neppure guardare, e tantomeno sorridere.”

Ma non erano solo le ragazze a creare questo senso di “timore”, gli succedeva con tutte le persone anche conosciute di tutte le tipologie.

E questo stato di timidezza, dice Pablo Neruda nel libro lo accompagnano anche quando a Santiago del Cile inizio a farsi alcuni amici anche importanti.

Ma che cos’è la timidezza

Dal punto di vista linguistico, seguendo la definizione che offre il vocabolario Treccani, “la timidezza la qualità di chi è, o si mostra, timido, soprattutto come atteggiamento abituale di chi è poco sicuro di sé, indeciso ed esitante, incerto nell’agire per soggezione, per timore del giudizio altrui”.

Il Dizionario Il Nuovo De Mauro, parla del “disagio di fronte a estranei provocato da insicurezza, riservatezza o soggezione, che si manifesta con comportamenti impacciati o anche scontrosi”.

Da un punto di vista della psicologia la timidezza come evidenziano gli studiosi è una problematica che coinvolge molte persone e ribadiscono che non si tratta di una malattia.

Per gli psicologi Lynne Henderson, Philip Zimbardo, Bernardo Carducci, che hanno sviluppato nel 2010 uno studio approfondito sulla timidezza, questa può essere definita come l’incapacità di rispondere in modo adeguato alle situazioni sociali. In particolare, le persone timide hanno difficoltà ad incontrare altre persone ed avviare una conversazione con loro, a creare amicizie ed innamorarsi.

La timidezza fa soffrire ma rende unici per sempre

La frase di Neruda descrive la timidezza come una condizione profonda e complessa, un tratto dell’anima che si collega a una dimensione di solitudine. Di certo la solitudine seguendo ciò che dice il poeta cileno non aiuta nelle costruzione delle relazioni sociali, queste sono vissute con timore come se dovesse sconvolgere la parte più intima della persona. Quindi come abbiamo visto rima la fuga dagli altri diventa una strategia per evitare l’imbarazzo, la sensazione di sprofondare verso un rifiuto della propria esistenza.

Neruda con parole stupende esplora come la timidezza sia una vera e propria sofferenza interiore, quasi fisica, che rende l’individuo più sensibile, o meglio intollerante, al contatto con il mondo esterno.

L’idea delle “due epidermidi” suggerisce che chi è timido vive con una sorta di ipersensibilità emotiva. Parla di pelle interiore, ovvero quella che ricopre la nostra intimità, offrendo in tal senso un’immagine tangibile di qualcosa che non può trovare in nessun modo rappresentazione. Parole magiche che  danno il senso di una patina più delicata, che si irrita e si contrae di fronte alle sfide della vita e del confronto sociale. Questa sofferenza non è qualcosa di esterno o separabile dalla persona, ma diventa parte integrante del suo essere.

Pablo Neruda lega la timidezza a un aspetto esistenziale più ampio, affermando che essa contribuisce alla “immortalità dell’essere”. Questo potrebbe significare che la timidezza, con le sue complessità e la sua capacità di isolare l’individuo, partecipa alla costruzione di un’identità unica e profonda, che lascia un’impronta duratura nel tempo.

In definitiva, Neruda vede la timidezza non solo come un difetto o una difficoltà, ma come una qualità che arricchisce l’anima, pur essendo dolorosa e difficile da vivere.

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