Una frase di Charles Bukowski su cosa sia la felicità

15 Agosto 2025

Leggiamo la citazione di Charles Bukowski, dal libro "La campana non suona per te" che fa eco al titolo di Hemingway "Per chi suona la campana".

Una frase di Charles Bukowski su cosa sia la felicità

La citazione di Charles Bukowski, tratta dal libro La campana non suona per te, riporta un’affermazione attribuita a Ernest Hemingway.
A prima vista, questa frase sembra semplice, quasi un consiglio da calendario motivazionale. Ma se la leggiamo con attenzione, scopriremo che racchiude una riflessione complessa sul rapporto tra convinzioni personali, felicità e autenticità.

“È stato Hemingway a dire: ‘Non importa ciò in cui credi, se non ti rende felice, è sbagliato’.”

Charles Bukowski e la sua scrittura apparentemente semplice

Il nucleo dell’affermazione è chiaro: una convinzione, per essere valida, dovrebbe produrre benessere in chi la coltiva. Non si tratta solo di fede religiosa, ma di ogni tipo di credenza — ideologica, filosofica, morale o esistenziale. Se un’idea, per quanto apparentemente nobile o coerente, porta soltanto dolore, senso di colpa o oppressione, allora, secondo questa prospettiva, essa è “sbagliata” per chi la vive.

Questa visione mette al centro la soggettività: non è un tribunale esterno a stabilire la verità o la giustezza di una credenza, ma il modo in cui essa influisce sulla vita del singolo. È un approccio che si allontana dal dogmatismo e si avvicina a una filosofia pratica dell’esistenza.

Bukowski, Hemingway e la felicità non convenzionale

È interessante notare come questa citazione, pur essendo attribuita a Hemingway, si inserisca perfettamente nel modo di pensare di Bukowski. Entrambi gli scrittori, seppur molto diversi nello stile e nei temi, condividono un’attenzione per la vita vissuta intensamente, senza troppe mediazioni culturali o morali. Hemingway cercava un’esistenza diretta, fatta di esperienze tangibili: la guerra, la caccia, la pesca, il viaggio. Bukowski, invece, si immergeva nei bar, nelle periferie, nei rapporti sregolati, rifiutando le regole della letteratura ufficiale e del vivere “rispettabile”.

Per entrambi, la felicità non è un concetto astratto da studiare sui libri, ma qualcosa da sperimentare nel quotidiano. Non c’è, dunque, spazio per credenze che incatenino l’individuo a un modello di vita che lo rende infelice.

Credere e stare bene: un equilibrio difficile

Se prendiamo la frase alla lettera, potremmo pensare che la felicità sia l’unico criterio per valutare la validità di una credenza. Tuttavia, il discorso è più sottile. La felicità non è sempre immediata: alcune convinzioni richiedono sacrificio, rinuncia, disciplina, e possono portare a un benessere duraturo solo dopo un percorso difficile.
Pensiamo, ad esempio, alla convinzione che valga la pena studiare anni per realizzare un sogno professionale: nel breve periodo può portare stress e stanchezza, ma nel lungo periodo si traduce in soddisfazione.

Eppure, il senso della frase di Hemingway, rilanciata da Bukowski, non è tanto quello di rifiutare qualsiasi idea che comporti fatica, quanto quello di non farsi schiacciare da convinzioni che producono soltanto sofferenza, senza mai trasformarsi in una fonte di appagamento. In altre parole, l’impegno può essere faticoso, ma deve avere come orizzonte finale una forma di felicità, anche se non immediata.

L’illusione delle credenze imposte

Un punto fondamentale della riflessione è la critica alle credenze imposte dall’esterno — che siano tradizioni familiari, religioni, ideologie politiche o aspettative sociali. Molte persone vivono seguendo regole e valori che non hanno scelto, ma che hanno ereditato senza metterli alla prova. Questo può portare a vite infelici, vissute in nome di un dovere astratto che non corrisponde ai bisogni interiori.

Hemingway, con la sua vita errante e anticonvenzionale, e Bukowski, con il suo rifiuto dei modelli borghesi, incarnano l’idea che ciascuno debba interrogare se stesso e stabilire in cosa credere, non perché glielo impongono, ma perché quella convinzione rende la vita più intensa e degna di essere vissuta.

Felicità come bussola morale

La frase suggerisce anche una prospettiva etica: se la felicità diventa la misura della validità di una credenza, allora le scelte morali non si basano solo su concetti astratti di “giusto” e “sbagliato”, ma sull’effetto concreto che queste scelte hanno sull’esistenza di chi le adotta.
Si tratta di un approccio vicino all’edonismo classico, ma con una sfumatura moderna: la felicità non è soltanto piacere immediato, ma una condizione complessiva di armonia e soddisfazione personale.

Il rischio e la libertà di scegliere

Naturalmente, vivere secondo questa regola comporta un grande grado di libertà, ma anche di responsabilità. Se abbandoniamo una credenza che ci rende infelici, dobbiamo affrontare il vuoto che lascia e costruire qualcosa di nuovo al suo posto. È un atto di coraggio, perché significa rinunciare alle certezze e all’appoggio di chi condivideva quella credenza.

Tuttavia, secondo la logica di questa frase, vale la pena correre il rischio. Continuare a vivere sotto il peso di un’idea che non porta felicità significa accettare un’esistenza spenta, lontana da ciò che si potrebbe vivere.

La citazione di Bukowski, riportando il pensiero di Hemingway, ci invita a un’analisi onesta e personale delle nostre convinzioni. Ci chiede di chiederci: Questa cosa in cui credo, mi rende davvero felice? Oppure mi tiene in gabbia? Non si tratta di inseguire una felicità facile o superficiale, ma di riconoscere che la vita è troppo breve per spenderla in nome di valori che non ci appartengono.
Il messaggio finale, in fondo, è un invito alla coerenza con se stessi: abbandonare ciò che ci fa male e coltivare soltanto ciò che, nella nostra esperienza diretta, illumina e arricchisce la nostra esistenza.

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