La frase di Cesare Pavese tratta dal romanzo “Feria d’agosto“, offre un’affascinante riflessione sulla natura della fanciullezza e sul suo impatto persistente nell’esperienza umana. Questo pensiero si articola su più livelli, esplorando la relazione tra passato, presente e identità, nonché il modo in cui la nostra infanzia continua a influenzare la nostra percezione del mondo e il nostro senso di meraviglia.
“La nostra fanciullezza, la molla di ogni nostro stupore, è non ciò che fummo ma che siamo da sempre.”
Cesare Pavese e la fanciullezza
La fanciullezza, per Cesare Pavese, non è semplicemente un periodo della vita confinato all’infanzia, ma una condizione esistenziale che permane in noi, indipendentemente dall’età. Quando Pavese afferma che “la molla di ogni nostro stupore” risiede in ciò che “siamo da sempre”, suggerisce che la nostra capacità di stupirci e di provare meraviglia non deriva esclusivamente dai ricordi dell’infanzia, ma piuttosto da una qualità intrinseca che ci accompagna lungo tutto il nostro percorso di vita. Questa qualità è qualcosa che non si perde con il passare del tempo, ma che si manifesta in vari modi, mantenendo viva la nostra capacità di percepire il mondo con occhi nuovi.
La citazione sottolinea l’idea che la fanciullezza non è un tempo trascorso che ricordiamo con nostalgia, ma uno stato dell’essere che esiste in modo continuo dentro di noi. Secondo Cesare Pavese, questa condizione è ciò che alimenta il nostro stupore e la nostra capacità di meravigliarci. La fanciullezza, quindi, non è qualcosa che lasciamo indietro mentre cresciamo, ma una parte essenziale del nostro essere che ci permette di rimanere aperti alle sorprese e alle possibilità che la vita ci offre.
Questo concetto si collega a una visione della vita in cui l’infanzia rappresenta una sorta di sorgente eterna di freschezza e curiosità. Anche quando diventiamo adulti e affrontiamo le complessità e le difficoltà della vita, quella scintilla di stupore infantile rimane dentro di noi, pronta a riemergere in momenti di scoperta o di contemplazione.
Un altro aspetto interessante della citazione è l’implicazione che ciò che “siamo da sempre” non è semplicemente una continuazione del nostro passato, ma una costante nel nostro essere che trascende il tempo. La fanciullezza, in questo senso, non è legata solo al periodo della nostra vita in cui eravamo bambini, ma è una parte integrale della nostra identità, che continua a vivere e a influenzare il modo in cui vediamo il mondo.
Cesare Pavese sembra suggerire che il presente, e la nostra capacità di stupirci, sono intimamente connessi a questo stato perenne di fanciullezza. Non si tratta di un nostalgico ritorno al passato, ma di una consapevolezza del fatto che la capacità di meravigliarsi è radicata in una parte di noi che non è mai cambiata e che continua a vivere dentro di noi, indipendentemente dall’età.
Nel contesto della vita adulta, questa idea assume un significato particolare. Gli adulti spesso si trovano immersi nelle preoccupazioni quotidiane, nelle responsabilità e nei doveri che possono offuscare la capacità di stupirsi. Tuttavia, secondo Cesare Pavese, la molla di ogni nostro stupore risiede proprio in questa connessione con la nostra fanciullezza permanente. Questa connessione ci permette di vedere il mondo con occhi nuovi, di riscoprire la bellezza nelle piccole cose e di apprezzare le meraviglie della vita in modo più profondo e autentico.
In questo senso, Cesare Pavese ci invita a riconoscere e a coltivare questa parte di noi stessi che è rimasta intatta dalla fanciullezza, a non lasciarla sbiadire sotto il peso delle responsabilità adulte. È un richiamo a mantenere viva la nostra capacità di stupirci e di vivere con curiosità e apertura, qualità che sono fondamentali per una vita piena e soddisfacente.
La citazione di Cesare Pavese ci porta a riflettere sulla nostra esistenza in modo più ampio. La fanciullezza, in quanto parte essenziale del nostro essere, diventa una chiave di lettura per comprendere non solo noi stessi, ma anche il mondo intorno a noi. È attraverso questa lente che possiamo continuare a trovare significato e meraviglia nella vita, anche di fronte alle sfide e alle difficoltà.
In conclusione, la riflessione di Cesare Pavese sulla fanciullezza e sullo stupore ci offre una visione profondamente umana della vita, in cui la capacità di meravigliarsi non è confinata all’infanzia, ma è una qualità che possiamo coltivare e mantenere viva in ogni fase della nostra esistenza. Questa capacità ci permette di vivere in modo più pieno, di apprezzare le bellezze del mondo e di mantenere un legame profondo con la parte più autentica e vitale di noi stessi.