Questi versi tratti da Le poesie di Jurij Zivago di Boris Pasternak (10 febbraio 1890 – 30 maggio 1960) incarnano una delle espressioni più pure e spirituali dell’amore umano nella poesia del Novecento. Nella loro semplicità formale, questi versi racchiudono un’intera visione dell’esistenza, della corporeità e del sentimento amoroso, intesi non come fenomeni passeggeri o carnali, ma come manifestazioni del sacro e del divino nella vita quotidiana.
Io di fronte al prodigio delle mani di una donna,
del dorso, delle spalle, del collo,
con la devozione di un servo
sono sempre in venerazione.
Boris Pasternak e il suo Jurij Zivago
Boris Pasternak, celebre per il suo romanzo Il dottor Živago — dal quale queste poesie sono tratte come componimenti attribuiti al protagonista Jurij dato che il capolavoro di Pasternak si divide in una parte in prosa e una in poesia — ha sempre nutrito una visione profondamente mistica e religiosa della vita e della poesia. Nei versi riportati, egli celebra la donna non solo come essere amato, ma come epifania del mistero della vita, come rivelazione del bello che salva, come sacrario della creazione.
Il poeta si pone “con la devozione di un servo”, dichiarando apertamente un’umiltà che non è sottomissione, ma riconoscimento della grandezza dell’altro. Non si tratta di un atto di inferiorità, bensì di un atteggiamento spirituale: l’amore, per Pasternak, è infatti una forma di religione, un modo di essere fedeli a ciò che è più alto e vero.
Nel contemplare le mani, il dorso, le spalle e il collo di una donna, l’io lirico non indugia nel desiderio o nella sensualità, ma si inchina davanti a un prodigio. La scelta dei termini corporei è precisa e concreta: mani, dorso, spalle, collo — zone del corpo che non necessariamente evocano l’erotismo, ma piuttosto la delicatezza, il lavoro quotidiano, la tensione e la grazia. È un corpo che parla, che agisce, che esiste nella sua concretezza, e che proprio per questo diventa sacro.
Nei versi di Pasternak emerge una poetica dell’incarnazione: l’amore non è solo spirituale, ma si fa carne, gesto, materia. La sacralità dell’amore si esprime attraverso il corpo, così come in molte religioni il divino si rende visibile attraverso forme tangibili: icone, simboli, sacramenti.
La venerazione evocata dall’io lirico è quindi simile a quella del fedele che contempla una reliquia o un dipinto sacro. Il corpo femminile diventa una soglia tra il mondo e l’eternità, un punto di passaggio tra ciò che è umano e ciò che è assoluto. È in questa tensione che risiede l’intensità della poesia di Pasternak: nell’essere sospesi tra due mondi, nel riconoscere il divino nel quotidiano, l’assoluto nel particolare.
In Le poesie di Jurij Zivago, Pasternak costruisce una poetica fondata sulla rivelazione. Ogni cosa, se guardata con occhi puri, può diventare segno di qualcosa di più grande. La natura, le stagioni, gli oggetti semplici e — come in questo caso — i corpi umani, sono tutti segni attraverso cui si esprime l’invisibile. La poesia, in questo senso, ha la funzione di disvelare, di far vedere ciò che normalmente rimane nascosto.
La donna amata non è solo una persona: è una finestra aperta sul mistero. Il poeta la guarda con stupore, come se fosse la prima volta, come se ogni gesto, ogni linea del suo corpo, fosse una novità assoluta, un miracolo. Questa capacità di vedere l’ordinario come straordinario è il cuore della poesia pasternakiana.
La spiritualità laica dell’amore
È importante sottolineare come, pur impregnati di spiritualità, questi versi non richiamino direttamente alcuna confessione religiosa. La devozione e la venerazione sono atteggiamenti che possono appartenere tanto a un credente quanto a un umanista. La religione dell’amore, in Pasternak, è una religione della vita, che non ha bisogno di templi né di dogmi. L’unico altare è il corpo dell’amato, l’unico rito è quello dello sguardo attento, rispettoso, commosso.
In questo, l’autore russo si pone in dialogo con la grande tradizione mistica europea, da San Giovanni della Croce a Rainer Maria Rilke, ma anche con la poesia dell’epoca sovietica che cercava, spesso controcorrente, di salvaguardare l’individuo e l’interiorità in un contesto politico oppressivo. La venerazione del poeta è anche un atto di resistenza contro la spersonalizzazione del regime: l’amore, la bellezza, la contemplazione sono strumenti di libertà.
I versi di Boris Pasternak ci invitano a un modo diverso di abitare il mondo: non come dominatori, ma come servitori del mistero; non come consumatori, ma come contemplatori del miracolo della vita. Davanti al corpo di una donna, il poeta si inchina, non per umiliazione, ma per riconoscere il sacro nell’umano. In un’epoca in cui tutto tende a essere ridotto a funzione e utilità, Pasternak ci ricorda che esiste ancora spazio per la venerazione, per l’incanto, per un amore che salva perché sa vedere.